P iove, tira vento, l'Italia smotta nel fango, i treni sono abbandonati in bilico sul mare, ma ecco che di notte, calpestando la melma, arriva lo Stato, questo ladrone travestito, per la sua ultima tentata rapina. E infatti, allegri cittadini: stanno provando ad appiopparci la tassa sul telefonino smart, sui decoder, sui tablet, sulle pennette, sugli hard disk, insomma su qualsiasi aggeggio possiate avere in tasca o sul tavolo da lavoro, o di gioco, o sotto il televisore per divertirvi, per rallegrare la vostra vita. Tutti oggetti su cui avete già pagato l'Iva e ogni altro balzello.
Ma, vedete, lo Stato è un guardone e vi spia in tutti i modi. Inoltre è invidioso, è maligno e ipocrita. Il suo compito non è quello di fornire servizi, di garantire processi che non ci facciano vergognare come ladri davanti ai Paesi civili. E neppure di proteggere con efficacia e dignità i suoi soldati arrestati e minacciati di morte in India. Macché. Per queste sciocchezze lo Stato non ha tempo, non ha voglia, non si applica. La sua passione è altrove. La sua passione consiste nell'andare a far saltare i nervi ai cittadini colti nel sonno, acciuffati mentre si accingono a divertirsi, semplicemente godere.
L'infame tassa sui telefonini e l'elettronica per il tempo libero poggia infatti su un progetto, anzi un chiodo fisso: castigare i cittadini proprio mentre esercitano la loro libertà traendone piacere. Il sogno inconfessato dello Stato sarebbe quello di far pagare dazio sul sesso: un tassametro applicato alle parti anatomiche preposte per tassare gli orgasmi (...)
(...) secondo quantità e qualità, il petting, le fantasie, i rapporti scritti e quelli orali. Ma anche una tassa sul sospiro e il balzello sul plateau, che sarebbe la fase esaltante che precede l'urlo finale. Lo Stato studia e cerca di fabbricare il macchinario perfetto con la sua vocazione di lenone che incassa sulle sigarette e l'alcol: sembra che quasi ci sia arrivato, ma ha ancora qualche difficoltà sui sensori da applicare, perché pare diano prurito come il braccialetto elettronico.
Ed è stato per questo ritardo sulla tassa dell'eros che lo Stato si è intanto ridotto al balzello sugli aggeggi elettronici, che è a tutti gli effetti un'imposta sulla felicità raggiungibile. Il pretesto accampato è quello di castigare la memoria. Tu, lei, noi, voi, loro, con gli strumenti elettronici inseguiamo un genere di letizia non troppo distante dal piacere sessuale: il piacere di guardare film, ascoltare musica, immagazzinare immagini, clips, concerti, sinfonie, cinema d'epoca. Che cosa hanno in comune questi oggetti del desiderio? L'avete capito: un oggetto che li contenga e li immagazzini: una memoria. Oltre che una tassa sul piacere, quella che sta arrivando è dunque una tassa sulla memoria. E la memoria è quanto di più prezioso l'essere umano abbia ed abbia poi modificato in meglio proprio grazie all'elettronica che ci permette di archiviare cineteche, biblioteche, librerie musicali, fotografie di capolavori d'arte, senza trascurare - per gli appassionati del genere - anche la libera pornografia se non viola le leggi che proteggono i minori e, insomma, qualsiasi cosa, giocattolo, idea libera, collegata al diritto di cercare la propria felicità, come insegnano i principi fondatori degli Stati Uniti d'America: «... and the pursuit of the happiness», il diritto a cercare - non ad ottenere - la felicità. E la felicità è fatta di memoria, di identità, di ricordi, di scoperte, di condivisioni con i propri bambini, con le/i propri/e amanti.
Avete capito che personaggio turpe questo Stato, che si presenta poi occhiuto a casa vostra picchiando con l'ariete di Equitalia alla vostra porta? È uno Stato maligno e impiccione, invidioso e cattivo, che non ha in alcun modo a cuore il benessere dei propri cittadini, ma, al contrario, ha a cuore lo spionaggio sui cittadini, ha a cuore soltanto il riempimento delle sue bisacce rubando, come il Gatto e la Volpe della favola, i pochi zecchini d'oro che il popolo-Pinocchio pensava di spendere in felicità, magari proprio nell'amato Paese dei Balocchi.
Ma è anche ipocrita, lo Stato. Colto sul fatto, con le mani nella marmellata, illuminato con un faro negli occhi, biascica: «Chi? Io? Ma no, che avete capito... Io non voglio attaccarvi, gentili cittadini, ma anzi proteggervi. Poiché voi riempite i vostri decoder, i vostri hard disk, le vostre pennette e magari le vostre nuvole elettroniche, io Stato desidero tutelare quel bene comune che è il diritto d'autore, perché ciò che mettete nel cassetto, ha sempre un autore». Naturalmente mente. Col cavolo che lo Stato pensa di distribuire i milioni del balzello ai poveri autori affamati e teoricamente depauperati dai cattivi bambini che si registrano i film sui dinosauri. Lo Stato è soltanto un truffatore che cerca pretesti per ficcarsi nelle capaci tasche ogni spicciolo, ogni rotolo di banconote. Del resto, se fosse per un principio di equità - e non di Equitalia - che lo Stato agisce, allora dovrebbe permettere il controllo dettagliato e puntuale del suo bottino. Ma non ci pensa neppure. Per un conflitto non tanto distante fra Stato e cittadini i coloni americani gettarono in mare le balle del tè inglese e dettero vita alla rivolta che diventò Rivoluzione americana, e poi Stati Uniti d'America. Il conflitto non era soltanto sull'oppressione delle tasse eccessive cui erano sottoposti i coloni dalla madrepatria inglese, ma il diritto di eleggere dei propri rappresentanti delegati ad andare a controllare, e decidere, in che modo i loro soldi fossero stati spesi: «No taxation without representation». Nessuna tassa può essere ammessa senza il diritto di eleggere rappresentanti dei tassati per controllare come i loro soldi verranno spesi. Ora, potete immaginare i rappresentanti dei cittadini tassati su quel che hanno in tasca o sul tavolo, mentre controllano che fine fanno i loro soldi? No, ovviamente: è una presa in giro.
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