Otto arresti, tra boss e gregari della cosca di Brancaccio e perquisizioni in diverse città italiane. Dopo le dichiarazioni del collaboratore Gaspare Spatuzza emerge un altro pezzo di verità sulla strage di Capaci, vent'anni dopo. Gli inquirenti affermano di avere «squarciato il velo d'ombra nel quale erano rimasti alcuni personaggi, mai prima d'ora sfiorati dalle inchieste sull'eccidio di Capaci». L'ex reggente del mandamento di Brancaccio e fedelissimo dei fratelli Graviano, oltre ad ammettere spontaneamente il personale ruolo nella fase esecutiva dell'attentato, ha fornito elementi di «assoluta novità», spiegano gli investigatori, in ordine al coinvolgimento degli altri otto boss e gregari della cosca ritenuti corresponsabili dell'eccidio e mai prima d'ora sfiorati dalle inchieste. Tra gli arrestati c'è il capomafia Salvo Madonia, già detenuto al carcere duro, Cosimo D'Amato, un pescatore di Santa Flavia (Palermo), che avrebbe fornito l'esplosivo utilizzato per gli attentati di Roma, Firenze e Milano e il tritolo per l'eccidio di Capaci, recuperandolo da residuati bellici in mare.
Le indagini confermano che la decisione della mafia di uccidere Giovanni Falcone non rappresentò solo l'intenzione di eliminare un pericoloso nemico dell'organizzazione, ma si inserì all'interno del progetto di un vasto attacco e di una drammatica offensiva alle istituzioni e allo Stato di cui furono parte le stragi di Capaci e via D'Amelio e quelle del '93.
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