Una pubblicità in cui un produttore di passata di pomodoro vanta la «padanità» della sua rossa materia prima sarebbe stata inconcepibile fino a qualche tempo fa. Addirittura autolesionistica. Ma come: l'ortaggio simbolo del made in Italy non è «sudista» per definizione, sole e immaginario? Vantarne la provenienza nordica è come bullarsi del fatto che un computer sia progettato in Messico invece che nella Silicon Valley. Come inorgoglirsi del fatto che un vino sia slovacco invece che bordolese. Una cosa innaturale. Eppure.
Eppure accade anche questo da quando la Campania - cassaforte di alcuni dei più splendenti gioielli del nostro patrimonio agroalimentare - è identificata con la Terra dei Fuochi, quella porzione di territorio in cui la camorra smaltisce, bruciandole, ingenti quantità di rifiuti tossici. Che avvelenano l'aria, le acque e la terra, oltre che gli animi. Una porzione piccola (Napoli e dintorni, Agro Aversano, litorale flegreo) di una regione grande in tutti i sensi: circa il 5 per cento di una superficie agricola di 700mila ettari che fattura 5 miliardi annui in prodotti che il mercato si contende. O forse dovremmo dire: si contendeva.
Già, perché il pomodoro certamente più esangue eppure orgogliosamente padano ci insegna questo: tutta la Campania paga lo scotto di un'emergenza ambientale amplificata peraltro dall'allarmismo giustificato degli esasperati residenti dell'area. Danno e beffa. Il cliente di un ipermercato non fa differenza tra Terra dei Fuochi e Campania Felix, tra province e aree diversamente inquinate, non legge le ricerche scientifiche che circoscrivono il rischio contaminazione da parte di pericolosi metalli pesanti. Con la sua sporta in mano sente rimbombare nelle orecchie solo la frase del collaboratore di giustizia Carmine Schiavone, cugino di Francesco detto «Sandokan», pronunciata nel 1997 e oggi rivenduta dai media come profezia autoavverante: «Lì moriranno tutti di cancro». Parole senza alcun fondamento scientifico che fanno morire anche il made in Campania agroalimentare.
Così il pomodoro San Marzano rischia di essere bandito dalle tavole degli Italiani, che gli preferiscono il pallido fratello lombardo o emiliano. Meno gusto, più sicurezza, almeno in teoria. Stesso destino per la mozzarella, che già negli ultimi tempi ha dovuto fronteggiare parecchi assurdi attacchi mediatici. A poco vale spiegare che il consorzio della Mozzarella campana dop vigila in maniera rigidissima sulla bianca regina dei latticini, che il disciplinare prevede che sia utilizzato solo latte di bufale di razza mediterranea iscritte in un'apposita anagrafe. Sempre più spesso caseifici del Nord producono la «loro» mozzarella: che naturalmente non è né campana (ma anzi può essere prodotta in tutta Europa), né di bufala (bensì vaccina) né Dop (ma Stg, ovvero specialità tipica garantita). E se il palato ci rimette, pazienza.
Passata di pomodoro e mozzarella non sono i soli vanti campani «scippati» dal Nord. Un anno fa fece discutere il fatto che il Gambero Rosso in una sua guida avesse indicato tra le quattro migliori pizzerie italiane una sola insegna campana: Pepe a Caiazzo (Caserta). Gli altri tre indirizzi erano due a Roma (Sforno e La Fucina) e uno addirittura a San Bonifacio, nel Veronese (I Tigli). Apriti cielo: proteste, margherite in piazza, sospetti di complotti nordisti in puro stile calcistico. Infine la furba correzione di rotta. Il Gambero Rosso nella nuova edizione della guida ha creato una categoria a parte per le pizzerie napoletane, dribblando ogni scomodo confronto.
E l'olio? E la pasta? Sono altri due prodotti in cui il tradizionale monopolio del Sud è messo a repentaglio dal vento del Nord. E se gli intenditori di extravergine sono ormai abituati a considerare gli olî liguri, gardesani o trentini diversi per caratteristiche organolettiche ma pari per qualità rispetto a quelli siciliani, pugliesi o laziali, sulla pasta il discorso è un po' diverso.
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