Sul bilancio pesa l'ipoteca del "superbonus": nel 2024 mancheranno all'appello 22 miliardi

Per i tecnici più complicato rendere strutturale la riduzione del cuneo fiscale

Sul bilancio pesa l'ipoteca del "superbonus": nel 2024 mancheranno all'appello 22 miliardi
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La politica economica del governo Meloni deve scontare una pesante ipoteca rappresentata dai cascami del Superbonus 110% che continueranno ad appesantire le finanze pubbliche anche nei prossimi anni. Il decreto varato a febbraio, che ha sancito la fine dello sconto in fattura e ha consentito di scaricare sul 2022 circa 46 miliardi di oneri, non copre però le prossime annualità in cui i contribuenti rateizzeranno gli interventi di ristrutturazione effettuati. La memoria depositata in commissione Bilancio alla Camera dal ministero dell'Economia è impietosa. Il saldo da finanziare per lo «sfizio» dei bonus edilizi vale circa 22 miliardi (il peso del Superbonus 110% è di 17 miliardi) sul 2024, 23,6 miliardi nel 2025 per salire a 24,6 miliardi circa nel 2026, scendendo consistentemente nei due anni successivi. Da dove deriva questa cifra monstre? La risposta è stata fornita dal Tesoro. «La differenza tra le stime ex ante e gli oneri aggiornati ex post per l'intero periodo 2020-2035 delle agevolazioni relative a Superbonus e Bonus facciate risulta pari a 45,2 miliardi di euro». Era stato previsto, infatti, un costo di 71 miliardi ma il conto da pagare si attesta già a 116 miliardi di euro dei quali 67 miliardi attinenti al Superbonus 110%. Quanto vale la differenza? Oltre 2 punti di Pil. Si tratta di un fenomeno sul quale l'Istat è tornata più volte. Da un lato nel triennio 2020-2022 sono stati indotti investimenti per 51 miliardi di euro, ma al prezzo di una revisione peggiorativa del deficit/Pil al 9,7% nel 2020, al 9% nel 2021 e all'8% l'anno scorso. Ora è chiaro che per Giuseppe Conte e i suoi accoliti pentastellati questa misura abbia dato una grande spinta all'economia ma il Movimento non si è mai interrogato sulla sua sostenibilità né, tantomeno, sull'eredità lasciata ai due governi che si sono avvicendati dopo quello dell'«avvocato del popolo». I 22 miliardi circa che mancheranno all'appello nel 2024 «mangeranno» buona parte delle disponibilità per la manovra che, come confermato dal ministro dell'Economia, Giancarlo Giorgetti, dovrebbe rendere strutturale il taglio del cuneo fiscale senza però compromettere i conti pubblici che proprio a partire dall'anno prossimo torneranno a essere severamente scrutinati dalla Commissione europea che pretende di mantenere il debito pubblico su un percorso di discesa. «L'aumento del nostro debito è frutto anche ad una serie di shock esterni, come la guerra in Ucraina. Ora si tratta di affrontarlo, lo stiamo riducendo è un impegno che noi ci siamo assunti», ha spiegato ieri Giorgetti.

Ma è evidente che a questo punto - visto anche il fardello ereditato dai pentastellati - alla strategia raziocinante bisognerà aggiungere anche quella della speranza perché solo una crescita del Pil superiore alle attese del Def (+1,2% la previsione per quest'anno, +1,4% per l'Fmi) potrà consentire di ampliare i margini di manovra senza dover praticare dolorose rinunce.

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