Il tetto ai compensi dei manager è da Paese incivile

Mettere un tetto ai compensi dei manager di Poste, Fs, Anas è solo demagogia spacciata per equità sociale. Ma sul mercato è più giusto legare stipendi e risultati e premiare i bravi

Trovate chi ha fatto saltare la norma che avrebbe introdotto il tetto allo stipendio dei manager pubblici. Trovatelo e premiatelo, perché è un padre della patria. Trovatelo perché l'unico con un briciolo di buonsenso. Quella norma che impone il limite di 300mila euro lordi annui allo stipendio dei manager di società pubbliche che svolgono un servizio generale sarebbe la sconfitta. Sarà una sconfitta quando sarà introdotta, perché prima o poi purtroppo accadrà. Quel giorno avremo definitivamente deciso di arrenderci al luogocomunismo, all'ipocrisia di chi pensa che con un po' di grillismo sparso a caso si calmino gli umori di un Paese deluso dalla politica e dagli sprechi.
Come sempre abbiamo un solo modo per provare a risolvere i problemi: non risolverli. Perché qui il punto non è quanto guadagna un manager pubblico, ma quanto produce. Dicono: ci vuole decenza, ci vuole contegno, ci vuole sobrietà. Ecco: trecentomila euro possono essere un'infinità o possono essere pochi. Non bisogna avere paura di dirlo, sfiorando il rischio di essere accusati di proteggere la Casta. La verità, banale, elementare, è che anche nelle società e negli enti pubblici dovrebbe comandare il mercato. Vali? Ti pago. Non vali? Ti caccio. Esatto: ti cac-cio. Perché chi spreca, chi sbaglia, chi non lavora, chi non produce, chi sballa i conti non deve essere pagato meno, non deve essere pagato per niente. Semplicemente va licenziato, rimosso, allontanato. Non si può perché i sindacati lo vietano? Non è possibile perché il pubblico non può licenziare?
Chi stabilisce che trecentomila euro lordi siano un giusto compenso per tutti? È demagogia all'ultimo stadio. È lo Stato che gioca sull'invidia sociale. Perché già si sentono le giustificazioni: ma trecentomila euro sono più di dieci volte lo stipendio medio del nostro Paese. Come a dire: ma che cosa vuoi di più? Semplice: che il mercato stabilisca quanto valgo. Introdurre un tetto agli stipendi provoca un effetto opposto rispetto a quello desiderato: l'enorme stuolo di manager inadeguati, inutili e improduttivi festeggerà, perché rimanendo inadeguato, inutile e improduttivo, guadagnerà comunque 300mila euro; chi è bravo non accetterà un ruolo pubblico, perché nel mercato privato può guadagnare molto di più.
Per fare un caso semplice semplice. Se qualcuno applicasse questo limite a Luigi Gubitosi, direttore generale della Rai, perché lui dovrebbe rimanere a Viale Mazzini se qualcun altro lo chiamasse? A nessuno viene in mente che invece di mettere un tetto e indignarsi perché questo tetto poi salta, bisognerebbe pensare che gli stipendi dei manager debbano essere legati ai risultati: più sei bravo più guadagni, più fai andare bene l'azienda, più prendi. Anche milioni, che problema c'è? Invece questo Paese si sta ammalando di populismo grossolano: vuol mostrare che non si mangia più a sbafo alle spalle dei contribuenti. Sarà giusta l'intenzione, ma lo svolgimento è pessimo. Questo provvedimento saltato per un errore estendeva il limite anche a società come Ferrovie, Poste e Anas. Cioè tre società che vivono nel mercato, che (almeno per Ferrovie e Poste) lavorano anche in un regime di reale concorrenza con privati. E tu che fai? Per omaggiare il neo-grillismo diffuso danneggi l'azienda. Perché di questo si tratta. Conviene ripetere il concetto: Mauro Moretti, amministratore di Fs, fa funzionare i treni e fa fare soldi alla sua società? Pagatelo. Riempitelo di denaro, perché è meritato. Non funziona? Non fa guadagnare euro? Cambiatelo. Elementare.
Un Paese sano non introdurrebbe questo limite e lo toglierebbe anche a quei manager ai quali viene già applicato. Noi stiamo un giorno intero a parlare di una follia da Unione Sovietica: tutti uguali per legge. Un errore di qualcuno nella stesura del provvedimento ci salva, ci tiene ancora legati al mondo reale.

Perché nel mondo reale è giusto che ci sia chi quadagni più di trecentomila euro, se sono meritati, sudati, conquistati. Il resto, cioè il tetto, è soltanto demagogia spacciata per giustizia sociale.

di Giuseppe De Bellis

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