Si faceva chiamare con il cognome del marito la prima donna calabrese del Parlamento italiano. Jole Giugni nasce a Tripoli nel 1923. Il padre, colonnello dei carabinieri, lavora nella colonia italiana. Promosso generale e collocato in pensione, la famiglia fa ritorno nella propria terra, la Calabria, a Praia a Mare. Jole frequenta il liceo classico e, in seguito, si iscrive alla facoltà di Lettere e filosofia dell’Università di Napoli. Lì studia con Benedetto Croce, con cui discute la tesi nel 1944. Jole Giugni inizia a insegnare, in un primo momento a Praia a Mare, il suo paese, poi a Crotone, dove si trasferisce al seguito del marito, l’avvocato civilista Nicola Lattari, di cui assume il cognome, com’era tipico ai quei tempi.
Jole ha due grandi passioni: una la porta avanti tutte le mattine entrando in classe come insegnante di storia e filosofia al liceo classico Pitagora di Crotone. L’altra, invece, è una passione assai più inconsueta per una donna di quegli anni: la politica. Erede dei grandi padri della retorica, “parlava e tutti l’ascoltavano, scriveva e tutti la leggevano”, dice di lei Pietrangelo Buttafuoco. "E gli uomini con cui si confrontava nel suo partito – prosegue l’intellettuale - erano personalità che avevano vissuto interamente l’impegno politico dentro i confini di una preparazione intellettuale e culturale di primissimo piano".

Milita nel Movimento sociale italiano e ben presto, nel 1952, si cimenta con le elezioni amministrative. Crotone è un territorio dove la sinistra è molto forte ma, nonostante questo, lei viene eletta in consiglio comunale, ovviamente all’opposizione, confermata nel 1956, 1960 e 1964. Ci sa fare bene con le parole e conquista senza problemi la fiducia dei propri concittadini. Al punto che, nel 1963, viene eletta in Parlamento ottenendo 15.202 preferenze. La sua qualità maggiore è la capacità oratoria, al punto che viene chiamata a tenere comizi in varie parti d’Italia.
Memorabile il saluto che rivolge alla piazza la sera del 26 aprile 1963. "Crotone mia…". Sono le solite parole con cui inizia a parlare nella sua città, ma quella volta le pronuncia con una voce roca più del solito, segno forse della stanchezza dopo decine e decine di comizi. Viene accolta da un’ovazione, riuscendo a emozionare anche chi non pensa di votarla ma l’apprezza per l’impegno instancabile. Essendo una fuoriserie dei discorsi in pubblico, il partito la manda in tutta Italia a tenere comizi: da Trieste, a Milano, da Roma a Palermo.
Ben inserita nella dirigenza del partito a livello nazionale, è membro del comitato centrale del Movimento sociale italiano dal 1954 al 1969. Nell’acceso confronto tra il segretario Arturo Michelini e Giorgio Almirante, si schiera con il primo sino al 1968, quando coraggiosamente tenta di promuovere un gruppo di opposizione interna per cercare di modernizzare il partito. Alle Politiche del 1968 nel collegio Catanzaro-Cosenza-Reggio Calabria il Msi passa dal 6,91% dei voti al 5,43% perdendo il secondo seggio precedentemente conquistato: Jole Lattari risulta non eletta con uno scarto di poco più di cento voti a favore Nino Tripodi, autorevole esponente del partito, in parlamento ininterrottamente dal 1959 al 1983 nonché, per anni, direttore del Secolo d’Italia. Se quest’ultimo fosse stato superato ne sarebbe venuto fuori un caso nazionale.
Di cosa si occupò Jole Giugni Lattari nella sua attività alla Camera? Spulciando i resoconti parlamentari, le interrogazioni, le proposte di legge e i suoi interventi, emerge un impegno significativo sui temi della scuola, dell’università e della cultura. L’istituzione della scuola media unificata, le materne statali e la riforma dell’ordinamento universitario sono al centro del suo impegno politico parlamentare. La scuola di tutti (e per tutti) è il suo faro.
“L’onorevole Saragat – dice in Parlamento - mi consentirà di convenire con lui allorché afferma che una vera riforma scolastica è la più profonda riforma di struttura, ancor più profonda di una nazionalizzazione anche massiccia, perché trasforma ancor più radicalmente la società, perché trasforma radicalmente gli uomini e trasforma altresì la classe dirigente, migliorandola”.
Non dimenticò mai la Calabria, offrendo alla sua terra grandi energie, concentrate sul riscatto sociale e culturale. Si batté, con un ampio schieramento trasversale, anche per salvare uno stabilimento metallurgico (Pertusola di Crotone), destinato ad essere trasferito in Sardegna.
"Ancora oggi – scrisse nella presentazione a un volume sui parlamentari della Calabria dal 1861 al 1967 – dopo oltre un secolo di vita unitaria, la gran maggioranza degli italiani pensa alla politica come un’avventura, come ad una palestra di ambizioni, come ad un campo di affari fruttuosi".
Una frase ancora oggi di estrema attualità, che denunciava l’attitudine di molti esponenti della classe politica di vedere il proprio impegno più come un’occasione da sfruttare anziché un servizio a vantaggio della comunità.