
Forse tutto questo non poteva che succedere qui, a due passi da Lecco, nel grande anfiteatro manzoniano. Valmadrera è un borgo tra lago e montagna, né troppo grande, né troppo piccolo. C'è la chiesa, c'è la banca, c'è la farmacia. Ma poi c'è la biblioteca, che ogni giorno si sforza d'essere anima e cuore in mezzo a questa vita di corsa, così piena da lasciare sempre meno tempo per i viaggi del sogno e dell'immaginazione. É proprio qui, tra le mura di un bell'edificio d'epoca, che la fata Tiziana fa il suo carico di storie e si premura di non tenerle mai per sé.
In zona la conoscono tutti, dai piccoli dell'asilo nido ai meno piccoli della casa di riposo. I bambini di ogni età hanno imparato che nella sua valigia si nascondono tesori di nessun valore, almeno così come lo intendono i duri di cervice, ma di valore incalcolabile per chi abbia l'animo giusto per ascoltare. Due volte la settimana, Tiziana apre la sua valigia davanti ai bambini piccoli. Estrae storie incredibili, di tutti i generi, con figure e disegni bellissimi. Ma la cosa veramente unica è che le legge a modo suo, come fosse al centro di quelle storie, finendo per trascinarci dentro anche la platea a bocca aperta. Per un certo periodo ci sono venuti anche gli anziani della casa di riposo, alla biblioteca, in un momento soltanto loro: era l'avvenimento clou, atteso tutta la settimana, un viaggio fuori dalle mura dell'istituto, ma più che altro fuori dalle malinconie della vecchiaia, come viaggiare per un paio d'ore sulla macchina del tempo e sulle ali della fantasia. Un giorno però hanno smesso di viaggiare sul serio, perché non c'erano più i soldi per il pullmino. Quando l'ha saputo, la fata Tiziana ha risolto il dramma a modo suo, dimostrando sul posto quel famoso proverbio di Maometto e della montagna: non potendo più venire i suoi amici anziani, ha deciso di andare lei da loro, direttamente alla casa di riposo. Sono nati così i caffè letterari, con il caffè vero e i dolcetti che porta sempre lei, dentro la capiente valigia. Quel tempo incantato ad ascoltare le letture di Tiziana sembra guarire molte pene e molti affanni, perché non c'è come un buon libro che possa fare magiche flebo di serenità.
Da quanto si può già capire, Tiziana è lei stessa una gran bella storia al naturale. Le chiedo di raccontarla soltanto a me, per una volta. Con il suo sorriso luminoso, parte da Finale Emilia, dov'è nata «ormai tanti anni fa». Ricorda del suo diploma di maestra, ma ricorda soprattutto «la sera del 25 aprile 1970, quando in sala da ballo conosco il Valsecchi Carlo, di Lecco, in trasferta per motivi di lavoro. É subito amore. Lui però mi dice che lì non ci vivrebbe mai e poi mai, con tutta quella nebbia e tutte quelle zanzare, e allora io gli dico sai che facciamo, facciamo che vengo io da te senza problemi. Un anno dopo, il 26 aprile 1971, ci sposiamo sul serio. E più di quarant'anni dopo siamo ancora qui, senza tristezze e pentimenti. Nel mezzo c'è anche una figlia, che adesso è donna adulta. Per tutte queste faccende, la maestra non l'ho mai fatta. Solo qualche doposcuola in epoche remote. Eppure, una volta che la bambina era cresciuta, non sono più riuscita a restarmene sola in casa. Ho cercato, ho cercato: alla fine mi hanno preso in Posta. Ci ho lavorato dall'86 al 2009, poi un bel giorno mi chiamano e mi dicono carissima, dobbiamo tagliare, non sei vecchissima, ma sei abbastanza vecchia per uscire. A sessant'anni mi ritrovo al punto di partenza: senza più niente da fare, con tanta voglia di fare. Momenti tristi. Ma non mi lascio andare. Chiedo in giro, chiedo a un amico assessore se per caso serve una volontaria per qualcosa. Certo che ci serve, mi dice, vedrai che un posto te lo trovo. Una volta mi chiamano in biblioteca, dove c'è Katia Cesana, questa giovane direttrice con tanta passione e tante idee. Abbiamo bisogno di coinvolgere i ragazzini, te la sentiresti di leggere loro un po' di libri? Sul momento rispondo oddio, come faccio. Poi forse mi risalta fuori il richiamo della maestrina, quel diploma preso da ragazza e mai servito a nulla. Va bene, rispondo, ci provo. Da lì comincia tutto. Sono cinque anni che non mi fermo più...».
Non è vero che tutti i bambini d'oggi sono isolati e catatonici davanti ai videogiochi, mi dice quasi offesa. «Lo vede lì Federico? Viene da sei ore di scuola, però è già qui di primo pomeriggio a sfogliare un libro. Un giorno posso averne cinque, di ragazzini, un giorno venti. Ma arrivano sempre, all'inizio un po' distratti, poi con calma, senza obblighi e pressioni, finiscono per appassionarsi. Ai bambini i libri piaceranno sempre: sono i grandi che spesso smettono di portarli a casa, o peggio non li leggono con loro...».
Halloween o Carnevale, Natale o Pasqua: ogni occasione è buona per viaggiare dentro l'avvenimento. Si fanno letture a tema, si fanno letture libere. Ci si prende una pausa e poi si ricomincia. «Questo esercizio è servito prima di tutto a me, che ho riscoperto la bellezza dei libri. L'importante è non porsi limiti e categorie. Noi ci caliamo nella storia del mostro di Lockness, nel Guinness dei primati, nel Vangelo. E le fiabe, e i racconti, e le scienze animali...». Ma lei, le chiedo a bruciapelo, cosa legge di suo? «Io? Che c'entro io. A me piacciono da morire le biografie dei personaggi storici. Ma i miei gusti li lascio fuori».
Le soddisfazioni? Neanche il caso di dirlo: quegli occhi incantati dei bambini, gli occhi senza età di tutti i bambini di tutti i tempi davanti alle storie belle. E quei sorrisi affaticati degli anziani in carrozzella, che viaggiano con la memoria tra i personaggi della loro vita, che ricordano a fatica, che in tanti casi neppure seguono il filo, ma che mai rinuncerebbero a quel paio d'ore di vera fuga dalla realtà.
«Un giorno io sarò qui al loro posto - mi dice serena fata Tiziana - non c'è dubbio. Ma finchè ce la faccio, continuerò a portare in giro la mia valigia». In fondo, le dico, s'è inventata una seconda vita, proprio quando pensava fosse tutto finito.
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