Di come (e di quanto) s'è ridotto il Monte dei Paschi, oltre che negli uffici della procura di Siena e in quelli del nucleo di polizia valutaria della Guardia di finanza si discute nelle affollate assemblee dove fino a pochi anni fa, alla presenza dell'avvocato-banchiere Giuseppe Mussari non volava una mosca. I piccoli azionisti che dissentivano si contavano sulle dita di una sola mano, ora però, con l'arrivo del nuovo presidente, Alessandro Profumo, l'andazzo è cambiato perché la sciagurata operazione Antonveneta ha fatto precipitare le cose provocando le prime crepe in quel sistema di potere che governa l'istituto di credito, la città rossa e di riflesso il Pd nazionale a cui Mussari era legatissimo. Con la magistratura impegnata a leggere le tonnellate di carte sequestrate al Mps e a casa degli indagati eccellenti, con la Consob che spulcia nei conti della sede di Rocca Salimbeni, con Bankitalia che ha appena terminato una lunga ispezione ed ha disposto l'avvio di un procedimento sanzionatorio amministrativo verso i componenti del Cda e dell'allora collegio sindacale, ormai si moltiplicano le richieste di spiegazioni sulle elargizioni a pioggia, i passivi miliardari, le operazioni boomerang che hanno dilapidato copiosi patrimoni e riserve miliardarie accumulati sin dal 1472. Chi un tempo plaudiva ad Antonveneta oggi prova lentamente a riposizionarsi insieme a certi sindacalisti in evidente imbarazzo visti i rischi concreti per i lavoratori. La Triplice che oggi minaccia scioperi contro un piano industriale figlio del disastro Antonveneta che prevede oltre 4mila uscite e un'esternalizzazione dei servizi di back office prodromica a mettere fuori dall'istituto 2.300 dipendenti, così l'8 ottobre 2007 si spellava le mani: «Esprimiamo grande soddisfazione per l'operazione Antonveneta che si inquadra perfettamente all'interno di strategie previste nel piano industriale 2006-09 (...) il positivo esito dell'operazione conferma la validità del sistema di relazioni sindacali all'interno del nostro aggregato creditizio».
Nell'ultimo incontro col nuovo presidente all'auditorium di viale Mazzini l'aria fra i 4mila presenti si tagliava col machete. Son volate parole grosse, accuse pesanti, lacrime, spintoni, slogan feroci specie dai leghisti Giusti e Montigiani (mai interrotti dal neopresidente Profumo) contro l'ex dipendente Asl Gabriello Mancini, presidente della Fondazione, di fatto impossibilitato a motivare le ragioni che hanno spinto l'ente ad approvare la delega al Cda per l'ennesimo aumento di capitale e le relative modifiche allo statuto. Un delirio. In questo Titanic impazzito Profumo è stato ad ascoltare i rilievi mossi dai pionieri della protesta che ricordavano come nell'ultimo decennio la Fondazione è finita affogata dai debiti dopo aver distrutto un patrimonio mobiliare e immobiliare immenso. Lo storica voce libera dell'associazione Pietraserena, Romolo Semplici, ha prima chiesto le dimissioni dei membri della Fondazione, poi ha arringato: «Come mai nessuno si è accodato alle battaglie di alcuni piccoli azionisti che cercavano di bloccare le scellerate decisioni sulla privatizzazione della Banca, sulla Banca 121, soprattutto sull'acquisizione Antonveneta, sulla distruzione del prestigioso marchio Banca Toscana e via dicendo? Solo ora si accorgono che certe operazioni hanno portato al dissesto della Banca (...). E dunque Profumo cerchi di fare chiarezza sui disastri compiuti, renda pubblico il contratto Antonveneta e le operazioni collegate, anche quelle più misteriose». C'è chi ha ripreso, ricordato e riproposto l'affondo portato nella precedente assemblea di bilancio dal socio Norberto Sestigiani «dell'associazione azionisti Buongoverno Mps». Il quale aveva reso pubblica una fitta e reiterata corrispondenza con l'ex presidente Mussari dove il «padrone» rassicurava ogni volta il socio-interlocutore sulla bontà dell'operazione con Santander e sulle prospettive di Mps. Fino a quando Sestigiani non s'è stufato e in assemblea ha snocciolato numeri e cifre di «una gestione che eufemisticamente può essere definita spensierata». A proposito di Antonveneta il socio rivelò sempre in assemblea che oltre a non esser stata effettuata una due diligence prima dell'accordo, dopo la firma «era stato consentito all'emittente di effettuare una verifica conoscitiva sulle principali tematiche contabili, fiscali e legali di Antonveneta». Dopo l'accordo, non prima. Senza senso.
L'ottimismo espresso da Mussari in varie assemblee, a detta del socio, si scontrava però con ben più evidenti timori espressi nel «documento di registrazione alla Consob» del 19 giugno 2008. A dimostrazione della drammatica situazione del Monte, Sestigiani analizzò e singole voci del bilancio 2011 a uso e consumo di tutti i soci. Il risultato venne definito «disastroso da un punto di vista economico, patrimoniale e finanziario». Chiosò: «Fu soprattutto il frutto del dissennato affare Antonveneta e della spensierata gestione di questo quinquennio (...). Fu chiesto invano all'(ex) presidente Mussari e all'(ex) presidente del collegio sindacale Di Tanno di precisare se consideravano ancora la redditività complessiva negativa per 8,4 miliardi sintomo di sana e prudente gestione». Insomma per capire cos'ha significato Antonveneta va detto che l'impegno finanziario complessivo sarebbe stato, alla fine, di 18 miliardi di euro (pari a una manovra finanziaria). Il Monte ne aveva trovati 8 con gli aumenti di capitale e gli strumenti ibridi del 2008, oltre a 2 miliardi che ipotizzava di trovare con cessioni di asset.
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