In Val Susa i violenti che cercano la guerra

Tensione in Val Susa. Incomprensibile la furia dei No Tav: ovunque si realizzano treni ad alta velocità senza tante contestazioni

In Val Susa i violenti che cercano la guerra
È una commedia dell’assurdo, il trionfo del non senso. In Val di Susa non vogliono che si re­alizzi un tratto di linea ferroviaria ad alta velocità. Chi ha paura del treno? Gli indiani? No, alcuni valligiani. Co­me si fa nel terzo millennio a rifiutare il passaggio di un convoglio che sfrec­cia a oltre 200 chilometri orari? Per quale motivo? Sono le domande che molti italiani si pongono. Non manca­no le risposte, ma non convincono. Chi abita su quelle montagne preten­de che i lavori non comincino nem­meno, e finora ha vinto. Polizia e cara­binieri non hanno mai forzato la ma­no. Probabilmente hanno ricevuto ordini precisi: evitate provocazioni, cercate di non aizzare i dimostranti, sorvegliate e basta. Cosicché capitano cose strane. Gli agen­ti vengono insultati, ma non han­no facoltà di reagire. Si beccano sputi. Rimangono passivi per evi­tare incidenti.

È lecito andare avanti in questo modo? Una delle accuse ricorren­ti ai nostri governi è la mancata modernizzazione del Paese. Non è infondata. I nostri trasporti sono per lo più su gomma, e i Tir, sem­pre più numerosi, invadono le strade e soffocano il traffico.L’au­tostrada del Sole è perennemente intasata. Quando si è trattato di al­largarla è venuto giù il mondo: po­lemiche a non finire, blocco dei la­vori, risse politiche, scenate dei verdi e dei rossi. Risultato. La no­stra principale autostrada, detta colonna vertebrale della Peniso­la, è più o meno la stessa di cin­quant’anni fa, epoca in cui solo un cittadino su 7 od 8 possedeva una vettura.

Nuove autostrade? Non se ne parla neanche,c’è il rischio di svegliare i cani ringhiosi della prote­sta ambientalista. Per carità, tutti fermi. Modernizzare una nazione osteggiando qualsiasi tipo di gran­de opera è un’impresa sovruma­na. In Europa siamo stati gli ulti­mi, con Frecciarossa, ad adottare treni che compiano un tragitto di 500 chilometri in meno di tre ore. La Francia li utilizza da trent’an­ni. La nostra rete di rotaie è rima­sta la stessa, per chilometraggio complessivo, del periodo fasci­sta. E la colpa non è soltanto della politica, ma anche di chi è contro qualsiasi iniziativa ferroviaria: perché attraversa una collina, per­ché certi terreni non si riescono a espropriare, perché il Comune o la Provincia o la Regione si oppon­gono, perché si rovina il paesag­gio.

Le leggi, il decentramento, un malinteso spirito federalista non aiutano a risolvere il problema: qui tutti hanno voce in capitolo ed esercitano un potere ostativo; non c’è un’autorità centrale che abbia facoltà di decidere d’impe­rio.

Val di Susa. Succede che lo Sta­to delibera, in base ad accordi internazionali, di cooperare alla rea­lizzazione del cosiddetto treno ad alta velocità (Tav). Il provvedi­mento non è stato preso a capoc­chia da un gruppo di speculatori, bensì dal Parlamento in rappre­sentanza del popolo. Più legitti­mo di così si muore. E in effetti si muore di tedio ad ascoltare le la­gnanze di una comunità periferi­ca cui non vanno a genio le galle­rie, perché bucano i monti. E che altro dovrebbero bucare? Perché tanta ostilità per le perforazioni? Che male fanno? Disturbano i ca­prioli? Personalmente non ne ho mai visto uno rintanarsi in galle­ria. Ancora. Che differenza c’è fra un treno normale e un treno velo­ce? L’Italia è piena di treni che van­no e veng­ono da tutte le parti e nes­suno ne fa un dramma, tranne i si­gnori della Val di Susa. I quali non si limitano a dissentire: fanno un casino infernale come se la loco­mo­tiva con tutti i vagoni irrompes­se nella loro camera da letto. Sono in ballo da anni e non si quietano. I francesi hanno subìto lo stesso treno senza fiatare, perché? Sono forse più stupidi dei nostri compa­trioti d’alta quota? Ecco il miste­ro. Dappertutto si realizzano stra­de ferrate senza tante storie, mentre lassù sui bricchi piemontesi si manifesta e si mena ogni due per tre, e intanto non si prosegue nei lavori. Carabinieri e polizia assi­stono impotenti a prevaricazioni senza precedenti. Qualcosa non va per il verso giusto: nel progetto o nei valligiani? Il sospetto è che sia buona la seconda ipotesi. Nel qual caso, viene un gran desiderio di portare in valle non solo il tre­no, ma anche il ponte sullo Stretto di Messina, una bella centrale nu­cleare (che fa meno danni dei fili elettrici, come sa Luca Abbà), massì, pure una deviazione della Salerno-Reggio Calabria, e già che ci siamo, la striscia di Gaza e un tocco di Israele, così i contesta­tori imparano a non scocciare per un treno della malora.

Breve digressione. Nella sua ele­gantissima rubrica L’amaca, su La Repubblica , Michele Serra esprime col garbo di un caterpil­lar la propria indignazione per il nostro titolo di martedì in prima pagina («Solo un cretinetti»), rela­tivo al manifestante caduto dal tra­liccio e ora in coma. Ci asteniamo dal dibattere sui gusti giornalisti­ci di Serra, raffinatisi durante una lunga permanenza nella redazio­ne dell’ Unità , il quotidiano che pianse la morte di Stalin. Ciascu­no ha i suoi. Soltanto un’osserva­zione tecnica. Egli scrive: «In ter­mini semantici, politici, soprattut­to umani, la derisione dell’agoniz­zante fa da perfetto pendant alle scritte sui muri della sedicente area antagonista contro Caselli». Sedicente area antagonista? Ci risiamo.

L’espressione fa il paio con quella storica dei comunisti: «Sedicenti Brigate rosse».Doman­do all’elegantone sull’ Amaca : co­me mai quelle di Berlusconi non erano sedicenti escort, ma escort tout court? Ciascuno ha i suoi gu­sti e le sue puttane, oltre alla pro­pria eleganza.

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