Femminicidio è un neologismo suggerito dalla dilagante criminalità che sta prendendo di mira le donne. Due deputate, Giulia Bongiorno e Mara Carfagna, hanno predisposto una legge per punire con l'ergastolo chi uccide le donne: appunto, il reato di femminicidio.
Ho due obiezioni, in proposito, naturalmente espresse da chi non ha competenze giuridiche, ma svolte - se mi si consente - in nome del buonsenso.
La prima riguarda l'uso politico della legge. L'affermazione rimanda a un costume deprecato da tutti, che però è molto in voga: si prende di mira un politico... e poi si vedrà in giudizio se è davvero responsabile o innocente. Ma non è di questo uso politico molto famoso che intendo parlare, piuttosto di quello che finisce per teatralizzare l'informazione. Insomma, si fa una legge, al di là della minima ragionevolezza anche nella sua applicazione, con lo scopo di far parlare il mondo della comunicazione. Il danno è doppio: il cittadino, invece di sentirsi tutelato dalla legge ne è sempre più diffidente e si augura di non essere tanto scarognato da incapparci. E, a sua volta, l'informazione si trova costretta a parlare di cose insensate perché non è possibile non parlarne.
La legge sul femminicidio è una pagliacciata per far discutere. E infatti il direttore mi ha cortesemente invitato a dire la mia, poi, probabilmente, un'altra persona dirà la sua non d'accordo con me, e così avanti in questo carnevale di opinioni in cui troveranno vantaggio non il lettore, non certo la giurisprudenza, neppure le donne, ma soltanto le due deputate che devono cercare di prendere voti per tornare in parlamento.
Neppure per le donne ha senso la loro legge. E questa è la seconda obiezione di principio.
La distinzione di genere è diventata una differenza ontologica, non biologica. E questa è una pagliacciata - per rimanere nel dominio della filosofia - metafisica. Più che giusto individuare i correttivi che possono dare alle donne pari opportunità rispetto agli uomini. C'è un ministero apposito che dovrebbe garantire l'equilibrio dei generi nelle istituzioni politiche, amministrative, economiche. Potrei osservare che non è per decreto che si garantiscono pari opportunità tra uomini e donne, ma attraverso l'educazione famigliare e, poi, scolastica. Una questione di formazione culturale.
Ma il reato di femminicidio non ha niente ha che fare con l'equilibrio etico tra i generi. La legge in un Paese democratico garantisce le regole di una giustizia uguale per tutto il genere umano, e maschio e femmina appartengono allo stesso genere umano. Ammazzare un maschio è più grave che ammazzare una femmina? Perché? Su quale fondamento etico si può sostenere la differenza di gravità?
Il codice penale prevede già le aggravanti in un delitto: per esempio, l'omicidio di un bambino, maschio o femmina che sia.
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