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"Pensavo foste giornalisti": l'insulto di Zingaretti che smaschera la sinistra sulla libertà di stampa

Da giorni Repubblica frigna per "l'allergia di Meloni per il giornalismo indipendente". Ora che l'ex presidente del Lazio attacca l'inviata di Quarta Repubblica, faranno finta di nulla

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Prendete tutti gli articoli scritti in queste ore da Repubblica, La Stampa, Massimo Giannini, “i latrati della muta di cani”, e fatene una pila. Saranno un grattacielo. Poi raccogliete le dichiarazioni dei politici di sinistra, della Federazione Nazionale della Stampa, gli allarmi sulla mancanza di libertà di informazione e finanche il sit-in che Elly Schlein vuole organizzare sotto la Rai. Fatto? Ecco. Dategli fuoco. E non perché siano pieni di fake news, non sia mai, ma perché sono bastate cinque parole di Nicola Zingaretti, ex segretario dem, a smontare pezzetto per pezzetto la finta costruzione vittimistica che certa stampa di sinistra porta avanti da giorni.

Partiamo dal principio. La settimana scorsa, Giorgia Meloni a Quarta Repubblica attacca il quotidiano diretto da Maurizio Molinari accusandolo di guardare la pagliuzza nelle privatizzazioni del governo anziché la trave delle scelte aziendali del proprio editore. Gli Elkann. La reazione di Rep è spropositata: “Nei quindici mesi a Palazzo Chigi - lamenta tra le altre cose nei giorni a venire - la premier non ha perso occasione per prendere di mira chi scrive di lei o le riserva domande scomode. Una lunga sequenza di insinuazioni, allusioni e sortite, che nella maggior parte dei casi eludono le questioni e travalicano nel complottismo e in un’offensiva contro la libertà di stampa”. L'Italia come la Nord Corea, in pratica, se non che fosse nessun cronista finisce sottoterra da un pezzo e i giornalisti giorno dopo giorno continuano a vergare ciò che vogliono.

Qualcuno, tra qui questo giornale, ha provato a far notare a Repubblica che se oggi ritengono che “confondere l’indipendenza" di un quotidiano “con gli interessi del suo editore” significa “ignorare i fondamenti stessi della libertà e dell'indipendenza dei giornali”, allora forse avrebbero dovuto sostenerlo anche ai tempi di Berlusconi. E se "l'allergia" del premier alle domande vi irrita, allora doveva valere anche per Mario Draghi ai tempi della corsa al Quirinale, quando sceglieva d'imperio a quali quesiti rispondere. Insomma: se oggi la legittima critica di un premier si traduce in un attacco alla “libertà di stampa”, perché non denunciarlo anche quando Dario Franceschini rinfacciò a Maurizio Belpietro di essere al servizio del Cavaliere? Oppure quando Barack Obama prese di mira FoxNews? Altrimenti si fanno figli e figliastri. Verrebbe da dire: i soliti figli e figliastri. Un modo di fare a cui la sinistra deve essere abituata a tal punto da non avere neppure il buon gusto di attendere qualche settimana prima di ricadere nel solito vizio.

Succede infatti che qualche giorno fa Nicola Porro invia un suo cronista a sottoporre alcuni interrogativi a Zingaretti, ex presidente della Regione Lazio e uomo forte del Pd, sulle polemiche per la nomina del nuovo direttore generale del Teatro di Roma. Zingaretti prima sembra disposto a concedere l’intervista, poi scopre l'argomento, si rifiuta di rispondere nel merito e passa alla denigrazione: “Ah pensavo voi foste giornalisti”. Come a dire: non lo siete.

A questo punto, se credono davvero in ciò che hanno scritto, non resta che mettersi comodi per leggersi, domattina, un dotto editoriale di Giannini o Molinari a difesa della collega di Quarta Repubblica e del suo diritto di porre le domande che più le pare e piace, come e quando desidera. Ma non accadrà.

Perché in fondo la regola è chiara: i politici possono insultare i giornalisti, senza mettere a rischio la libertà di stampa, solo se sono di sinistra.

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