Intrighi, potere, lussuria Le condottiere dell’alcova

Disfacevano Stati, eleggevano re, papi e imperatori, confidando solo nel proprio fascino

Valentine De Saint-Point era bella, altera e intelligente. Pittrice, scenografa, ballerina, autrice tra l’altro dei costumi per la Sagra della primavera di Igor Stravinsky, fu amante di Filippo Tommaso Martinetti. Il quale, peraltro, predicava «disprezzo per la donna», considerando le femmine creature incapaci di rischiare la vita per un ideale. Valentine gli rispose che la donna custodiva il mistero della più grande tra le forze vitali: la lussuria. La lussuria «spingeva spietatamente gli uomini primitivi alla vittoria» e spinge oggi «i grandi uomini d’affari» a moltiplicare i loro traffici. Compilando nel 1913 un Manifesto futurista della lussuria, scriveva: «Non è la lussuria che disgrega e dissolve ed annichila; sono piuttosto le ipnotizzanti complicazioni della sentimentalità, le gelosie artificiali, le parole che inebbriano e ingannano, il patetico delle separazioni e delle fedeltà eterne, le nostalgie letterarie: tutto l’istrionismo dell’amore». E quindi proclamava, con impeto squisitamente futurista: «Distruggiamo i sinistri stracci romantici, margherite sfogliate, duetti sotto la luna, tenerezze pesanti, falsi pudori ipocriti. Che gli esseri, avvicinati da un’attrazione fisica, invece di parlare esclusivamente delle fragilità dei loro cuori, osino esprimere i loro desideri».
Quello che Valentine De Saint-Point teorizzava era già stato praticato da molte donne nei secoli precedenti. Donne dalla vita inimitabile, eroine della lussuria, campionesse di astuzia e di seduzione. Donne di piacere, come le definisce il titolo di un libro di Valeria Palumbo, appena pubblicato da Sonzogno. Sono trenta ritratti al femminile, che vanno dalla più remota antichità fino alle soglie del nostro secolo, dalla Cina dell’impero Wu alla Parigi della Belle Epoque. Le storie di trenta donne che, confidando solo sulla bellezza del loro corpo e sulla forza del loro fascino, hanno creato e disfatto imperi, eletto papi e imperatori, hanno tenuto in pugno artisti e poeti. Concedendosi a tutti, senza mai diventare proprietà di nessuno. Libere nella loro lussuria, anche in epoche in cui la donna era normalmente condannata a starsene in silenzio vicino al focolare.
Prendete Marozia, figlia dei conti di Tuscolo, che ha imperversato a Roma nel X secolo dell’era cristiana. A 15 anni era l’amante di papa Sergio III, a 18 era senatrice di Roma, a venti riuscì a far nominare papa il suo nuovo amante, Giovanni da Tossignano, salito al soglio di Pietro col nome di Giovanni X. Il suo corpo era diventato strumento e arbitro nelle lotte per il potere: lei venne paragonata a Messalina, e per gli anni del suo splendore si parlò di «pornocrazia». Non mancarono i passi falsi: il popolo di Roma si ribellò quando Marozia cercò di far incoronare imperatore un altro amante, e poi suo sposo, l’avventuriero Alberico, divenuto con l’inganno duca di Spoleto. Il Papa la abbandonò. Alberico fu decapitato e, secondo la leggenda, Marozia fu costretta a scontare la sua lussuria giacendo col cadavere del marito. Ma ritornò presto, eliminò Giovanni X e fece sgozzare il suo stesso fratello, Pietro, capo delle milizie pontificie. Continuò per anni a fare e disfare papi, compreso il suo figlio primogenito, eletto col nome di Giovanni XI.
Non tutte le vicende narrate da Valeria Palumbo hanno la stessa truculenza. Più spesso il potere dell’alcova si esercita in forme sottili e subdole. Ben noto il caso di Virginia Oldoini, la Contessa di Castiglione, spedita da Cavour a sedurre Napoleone III per conquistarlo alla causa dell’Italia unita. Con successo, come si sa. Dotata di una bellezza di inquietante perfezione, alta, bionda, occhi verdi, profonde scollature, Virginia apparve alla corte di Parigi «come Venere discesa dall’Olimpo» (sono parole della contessa Paolina di Metternich). Con Napoleone III dapprima si schermiva: «Se Voi aveste inteso dire dalla nascita com’è bella, com’è elegante, com’è graziosa, sareste disgustato al pari di me», gli disse, e forse era sincera. Ma era altrettanto consapevole del suo fascino: «Le altre donne le eguaglio per nascita, le supero per bellezza, le giudico per ingegno». Grafomane e narcisista, tenne un Journal con l’elenco di tutti i suoi amanti, facendo seguire a ogni nome un cifrario che designava la natura della relazione: «b» se erano solo baci, «f» per un rapporto completo, «pr» se si era preso un amante solo pour revanche, «per vendetta».
Le «donne di piacere» affascinavano e spaventavano. Dominavano il maschio offrendo il proprio corpo come oggetto di un piacere squisito e insuperabile. Così faceva Cora Pearl, una delle Grandes horizontales, le cortigiane che facevano il bello e il cattivo tempo nella Parigi di fine Ottocento, che amava farsi servire su un vassoio, coperta solo di prezzemolo. Altrettanto sfrontata e inafferrabile fu Victorine de Meurend, che il suo amante Edouard Manet ritrasse nuda nel Déjeuner sur l’erbe e poi come odalisca nell’Olympia (Olimpia era nome canonico per le cortigiane di alto bordo). Votata alla dissipazione della sua vita, Victorine morì povera dopo avere posato per le prime foto pornografiche.
Sorte altrettanto grama ebbe un’altra «Grande orizzontale» dell’epoca, Marie Duplessis. Così grama da divenire leggenda, poiché la sua vita fu immortalata nel romanzo La dama delle camelie, che ispirò a Giuseppe Verdi la Traviata. L’autore del romanzo, Alexandre Dumas figlio, era stato vittima e amante della Duplessis. La quale morì effettivamente di tisi nei giorni del carnevale, e fu sepolta in un mare di camelie bianche, il suo fiore preferito. «Si sarebbe potuto credere che Marie fosse Giovanna D’Arco o qualche altra eroina nazionale, tanto era profonda la tristezza collettiva», commentò Charles Dickens. Ma la Duplessis in vita era stata spietata e indifferente a ogni amore. Solo per Franz Liszt aveva perso la testa e lo implorava, vanamente, di portarsela dietro a ogni suo concerto.
Le donne di piacere, così attente al denaro e al potere, subiscono spesso il fascino della cultura. Veronica Franco, la più grande cortigiana veneziana del Rinascimento, sognava di poter spendere tutto il suo tempo non nelle alcove, come faceva, ma «dolcemente nelle accademie degli huomini virtuosi». Fu anche autrice di poesie in cui celebrava lievemente la sua lussuria: «Così dolce e gustevole mi sento/ quando mi trovo con persona in letto/ da cui amata e gradita mi sento».
Davanti a questa galleria di donne impareggiabili si resta alla fine ammirati. Uno legge delle grandi etere della Grecia antica, Frine, Laide, e pensa alla tristezza dei tempi moderni. Non a caso Valeria Palumbo si arresta, con i suoi ritratti, a un secolo fa. E non solo perché poi le donne si sono emancipate e hanno mirato al potere in proprio e con mezzi, per così dire, più ortodossi.

Tutti i grandi leader del XX secolo furono misogini o usarono donne di cui non avevano alcuna stima intellettuale: da Hitler a Stalin, compreso Mussolini, che non a caso passò da una amante intellettuale come l’ebrea Margherita Sarfatti, quando era socialista, alla accondiscendente Claretta Petacci, quando era dittatore. E se una volta c’era la contessa di Castiglione, adesso dobbiamo accontentarci di Monica Lewinsky. Non c’è nulla da fare: anche le donne di piacere non sono più quelle di una volta.

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