Io, ateo, dico che la croce non offende più nessuno

Da segno di appartenenza confessionale è diventato icona culturale. E oggi il suo significato è quello della tolleranza

Ugo Ruffolo *

La Corte di Strasburgo cancella il crocifisso nelle scuole? È miope laicismo bigotto che non fa onore alla laicità dell’Occidente. Prima di esprimere un’opinione, debbo fare una confessione. Ho ritenuto a lungo che il crocifisso nelle aule (anche di giustizia) fosse da rimuovere, per non offendere o discriminare i non credenti. Questo, però, quando l’Italia era monoculturale e conformista, e non ancora pluriculturale e plurietnica, e quel simbolo aveva valore più strettamente confessionale, e dunque discriminatorio: al tempo, rispetto ai non credenti, piuttosto che ai professanti un diverso credo. Oggi è cambiato il Paese ed è cambiato l’Occidente; che attraversa una seria crisi di identità. Il crocifisso ha perduto il senso di simbolo d’appartenenza confessionale per assumere quello di identità culturale. E dunque non offende né chi professa altre religioni né gli agnostici o atei. La tensione non è più fra credenti e no, ma fra credi diversi: tutti sempre più radicalizzati; e ostentati come bandiera di appartenenza e identità, sovente ad excludendum.

La nostra cultura è cristiana; ed è cultura di tolleranza al credo o al pensiero altro. Cristo in croce non è allora un simbolo religioso, ma un segno distintivo d’appartenenza. È S. Agostino, ma è anche Voltaire o Marx. È assurto a bandiera laica dell’Occidente, come il riferimento a «Dio» nel giuramento americano (salvato dalla Corte suprema nel 2004). È bandiera d’una cultura la cui laicità ha radici giudaico-cristiane, e che professa oggi la religione laica dei diritti umani e della tolleranza. È simbolo, poi, «della nostra specifica tradizione», come osserva la Gelmini; «della storia e della cultura italiana, e del secolarismo dello Stato», come hanno già detto il Tar ed il Consiglio di Stato.

Queste, e queste sole, possono essere le nostre difese nel ricorso governativo contro la sentenza di Strasburgo. Pericoloso è invece l’argomento, pur suggestivo, che si propone di invocare il giudice Lettieri: «Noi non siamo uno Stato laico ma concordatario, come sancito dall’art. 7 della Costituzione e che quindi ha rinunciato ad alcune sue prerogative». Si rischia l’autogol: sia confermando una valenza confessionale del simbolo, sia innescando un potenziale insidiosissimo conflitto fra l’art. 7 (Patti Lateranensi) e le «limitazioni di sovranità» sancite dall’art. 11 della Costituzione e riferibili ad adesioni quali quelle alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo. Il crocifisso in aula, anni or sono provocatoriamente criticato da un noto ultrà islamico che vituperava il «cadaverino», e poi dal giudice di Camerino che pretendeva di sostituirlo con simboli ebraici, incappa ora nel fondamentalismo della Corte di Strasburgo.

Noi, rispetto a culture altre, dobbiamo essere intransigenti contro pratiche lesive di diritti fondamentali, dal burqa all’infibulazione; e tolleranti invece quando le altrui pratiche secolari, quali la macellazione islamica del montone, contrastano con nostre normative più contingenti. Chi «viene da fuori», o è ipersensibile, non può veder calpestati i propri diritti fondamentali, ma deve essere meno suscettibile rispetto ai nostri simboli culturali. Su quel fronte, rischiamo di aprire troppo; come negare la festa, o l’albero di Natale a scuola per non turbare i non cristiani, o togliere, appunto, i crocifissi dalle aule. Quella croce è simbolo ormai sconfessionalizzato, quanto l’emblema della croce rossa.

Ma c’è chi ha sparato anche su quella! Parafrasando Roosevelt, in nome della tolleranza contro una sola cosa dobbiamo essere intolleranti: la intolleranza stessa.

* Ordinario di diritto privato all’Università di Bologna

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