«Io invece voglio vivere anche immobile»

Mauro Serra, ex giardiniere, ha il morbo di Gehrig. Vive in un letto e detta la sua biografia di malato battendo le ciglia

«Io invece voglio vivere  anche immobile»

Emiliano Farina

«Aiuto, una mosca! L'altra notte c'era una mosca che mi ronzava intorno. Mi si poggiava sul viso. Ho sopportato a lungo prima di digrignare i denti per chiedere soccorso».
Sotto le zampette dell'insetto c'è un cervello perfettamente lucido ma scollegato da un corpo paralizzato. Mauro Serra, 43 anni, ex giardiniere comunale di Quartucciu, cittadina a pochi chilometri da Cagliari, deve sperare che la mosca si cerchi un altro campo d'atterraggio perché le sue gambe, le sue braccia e i suoi muscoli sono ostaggio della sclerosi laterale amiotrofica (Sla o morbo di Lou Gehrig), la malattia progressiva che colpisce le cellule nervose del midollo spinale. E non lascia scampo. L'ex giardiniere non può più deglutire, masticare o sentire il profumo dei fiori che colorano il davanzale della sua camera. Eppure lui non vuole morire, non vuole che qualcuno gli stacchi la spina. Anzi.
L'incipit di questo pezzo è uguale a quello del reportage che Mauro sta realizzando su se stesso e sulla nuova vita che conduce da oltre un anno e mezzo. Per scrivere non utilizza né la penna, né il computer: usa gli occhi, l'unica cosa che può muovere. Comunica attraverso un sistema artigianale (ha provato la telecamera collegata al pc ma non si è trovato bene): punta una lavagnetta trasparente su cui sono incollate le lettere dell'alfabeto. Quando poi l'amico fraterno Giovanni Fois indica la lettera in linea col suo sguardo, Mauro dà il consenso con un battito di ciglia. E così, tra meno di dodici mesi, arriverà anche il tesserino di giornalista pubblicista. Da oltre un anno l'ex giardiniere scrive per il Corriere delle Bocche, un mensile sardo-corso che si occupa di cultura del vivere edito nell'isola della Maddalena, in Gallura.
Dialogare con Mauro attraverso la lavagnetta è come entrare in un mondo inimmaginabile. È un terremoto nell'anima che sconquassa i comuni parametri di quello che tutti chiamano «il valore della vita». Il valore della vita secondo Mauro, non ha parametri: è molto di più. Oltre ai familiari c'è Don Don, 21enne assistente filippino che celebra così la vena ironica del suo amico-datore di lavoro: una pseudosfilata di moda davanti allo specchio, a ritmo di musica e coi bicipiti in mostra. Imperdibile.
Le parole di Mauro sono poche, pesanti e preziose. «Scrivere è un modo per affermare che io esisto, che sono vivo. Quando comunico, le mie sofferenze svaniscono. Per vincere questa malattia occorrono tre cose: la volontà, l'affetto dei tuoi cari e una buona assistenza». Dice che la fede che traspare dai suoi articoli non rientra in alcun canone: «Il Dio che conosco io è l'amore puro».

Aggiunge anche di aver bisogno di ulteriore assistenza: chi vuole può versare un contributo sul conto corrente postale n° 60820396 intestato al suo nome. Un gesto per dire alla mosca di andare a posarsi da un'altra parte.

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