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Io, passeggero di un volo fallito sull’Atlantico

nostro inviato a New York
«Benvenuti sul volo Alitalia 604 da Milano Malpensa per New York Jfk. La durata del volo prevista è di 8 ore e 40 minuti. A New York il cielo è sereno, la temperatura di 23 gradi. Assistenti di volo prepararsi al decollo». Sono le 11.15 minuti del 18 agosto e questo volo è una macchina del tempo. Valeva anche un supplemento speciale: un viaggio con destinazione un futuro che potrebbe non essere. Più banalmente, chi scrive, insieme con altri 94 passeggeri e 9 persone d’equipaggio, parte con Alitalia senza sapere come e quando tornerà. Parte ieri alle 11.15 con una compagnia che, allo sbarco previsto alle 19.55, potrebbe non esserci più. La compagnia inesistente.
Il comandante, Andrea Gazzola, il suo vice Federico Orlandi, non sono tra quei piloti che minacciavano di bloccare gli aerei al decollo per motivi tecnici. Gazzola informa i passeggeri sullo stato del volo con voce serena. Nessuna informazione, invece, sulla sorte del loro posto di lavoro, e del nostro rientro, che verranno decise a metà strada, le 15.50 in Italia, quando saremo in mezzo all’Atlantico. Ma qualcosa si capisce chiacchierando con gli assistenti di volo, giovani, gentili, più premurosi della media, guidati da Laura Quass.
«Lavoro in Alitalia da vent’anni – dice uno di loro – e per chi di noi non ha forme di reddito alternative questo è un “volo a rischio”. Io invece sono fortunato, ma quello che sento dentro è profonda amarezza per un’azienda uccisa da due parole: spreco continuo. Per esempio, le vede queste poltrone di business class? Sono state ordinate apposta per questo 767, ma se se ne rompe una, va smontato mezzo aereo per portarla e riparare. E gli interni delle cabine? Spesso non sono del produttore, ma fatti fare su misura da fornitori locali. E vogliamo parlare del catering? Per anni è capitato che non rispettasse gli standard, ma quasi mai l’azienda applicava penali».
Amarezza, d’accordo. Ma ora che succede? «Io non credo che “loro” firmeranno», mi dice un altro assistente, indicando la cabina di guida. «Loro» sono i piloti. Ma perché no? Non hanno capito che è l’ultima spiaggia? «Non per loro – mi spiega -. Un pilota con esperienza, magari vicino alla pensione, che sappia portare macchine come questa, un 767, o ancora meglio un 777, o i nuovi 320, ha un gran mercato. Se lo prendono senza problemi a Hong Kong, o a Dubai, a 20mila euro al mese più una villetta per la famiglia». E i più giovani? «Vanno a farsi qualche anno tosto di volo a Ryanair, per poi rivendersi alla grande».
Sì, ma noi come torniamo? «Non credo che la compagnia lascerà i voli a terra. C’è tempo prima di portare i libri in tribunale, io credo che da qui a fine mese si può fare avanti qualcun altro. Dovevamo fermarci già lunedì, ma non è successo. L’unico risultato di quegli annunci è che questo volo è mezzo vuoto: 80 passeggeri in economy sui 212 del solito».
Un collega sta spulciando il contratto Cai. Mentre il comandante è chiuso in cabina. Pare che abbia un satellitare. «Sì ma tra un po’ è finita la traversata - dice una hostess –, non cambia nulla: quando si apre il portellone sapremo». Invece lo steward viene da me un po’ prima: «Hanno ritirato l’offerta». Sono le 19.15. Dietro la cabina di guida, che ora ha la porta aperta, c’è un po’ di trambusto, l’equipaggio parlotta, il comandante esce. Ma più di tanto, da quassù, non si sa.

Tranne che loro, l’equipaggio, rientra l’indomani, sicuro.
Comincia la discesa, allacciare le cinture, atterraggio perfetto, applausi. «Il comandante vi dà il benvenuto a New York. E vi ringrazia di avere scelto di volare Alitalia».

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