Io, sportivo over 50, dico ai pantofolai: Fa più male un’abbuffata di una corsa

Hanno già ricominciato a guardarmi in modo strano, da un paio di giorni. A cinquant'anni compiuti, ho la colpa di andare ancora in bicicletta. Di fare sport. Alla mia età. Fumatori incalliti, bevitori indomabili, trimalcioni insaziabili, e soprattutto loro, gli ineffabili pantofolai: non hanno nemmeno bisogno di tante parole, il coccolone a Sarkozy è l'asso che calano con sorrisi diabolici. In questi termini, la loro rivincita: lo sport a cinquant'anni fa male, il presidente sportivone ha rischiato di lasciarci le cuoia. Se ne stia a casa sua, si goda la vita, accanto al quel gran pezzo di presidentessa, e lasci perdere queste patetiche manie da salutista.
Sarà che è estate, sarà che persino Di Pietro e Gasparri si sono presi una pausa, ma il tema diventa di stringente attualità. Ciclicamente, ritorna. Fa bene, fa male. Che posso dire: nonostante Sarkozy, continuerò ad andare in bicicletta. Nei ritagli di tempo, un paio di volte la settimana, tre-quattro ore per settanta-novanta chilometri, salita compresa. Non è troppo, non è pochissimo: è quello che mi sento di fare. All'inizio della stagione mi limito ad un'oretta, per una trentina di chilometri. Poi, piano piano, è il fisico a concedere il suo nulla osta: la stessa fatica si spalma su più ore, più chilometri, più velocità. L'importante è ascoltarsi, senza frenesie, senza fanatismi, senza esagerazioni. Lo sport è piacere, non sofferenza.
Sarkò ha esagerato? Non so dire. Non sono un medico e neanche il suo personal trainer (figura nuova dei Vip, ma posso assicurare che ci si muove pure senza). So soltanto che un malore può capitare anche al fisico più giovane, più forte, più allenato. Un malore può capitare sempre e ovunque. Persino seduti in poltrona, ascoltando musica classica.
Certo, nessuno può giurare che l'attività fisica allunghi la vita. I miei amici del movimento sedentario giurerebbero che l'accorci, imponendo fatiche innaturali. Su questo però hanno torto. Un pranzo di nozze, tre ore chiuse con dolce, caffè e ammazzacaffè, infligge al nostro fisico uno stress molto superiore a quello di una corsa o di una nuotata. Cuore, colesterolo e compagnia bella accusano molto più una pajata o una bagnacauda che una salita di dieci chilometri.
Anche in questo caso, tutto dipende da quanto e da quello che si fa. Chi fa sport sin dalla giovinezza, non si accorcia la vita. Mantenendosi minimamente allenati, gli sportivi abituali non accusano mai fatiche disumane. Avvertono solo benessere. Personalmente, avverto soprattutto il benessere mentale. Dopo un'uscita in bicicletta, lungo valli e contrade di provincia, torno nella realtà metropolitana e alle difficoltà del lavoro con spirito lieve. Non c'è new-age, non c'è filosofia orientale, non c'è niente che conceda le stesse sensazioni.
Diverso lo sport vissuto come schiavitù. Come manìa salutista. Come mito estetico. I più pericolosi, per se stessi e per i pronto soccorsi, sono gli atleti colpiti da vocazione in età matura. Arrivano a cinquant'anni mal sopportando persino l'esercizio fisico di portarsi la forchetta alla bocca, poi improvvisamente vengono folgorati sulla via di Damasco. Da zero, diventano dei mezzi marines. Si chiudono in palestra, saltano pasti (un crimine imperdonabile), abbattono record, sfidano avversari. Comprano ormoni dal tecnico spacciatore. Oppure, semplicemente, dopo undici mesi di ufficio e happy-hour, una sera d'agosto riscoprono improvvisamente il drago di una volta e cadono nel tranello del derby a calcetto Turisti-Camerieri, sul campo dell'albergo, appena oltre l'arena del liscio. Nella migliore delle ipotesi, sono contratture e lesioni ai legamenti. Qualche volta, infarti fulminanti. In questi casi, siamo effettivamente allo sport contro natura. Allo sport che fa danni. Allo sport che accorcia la vita. Ma non è colpa dello sport. E neppure del fisico. La colpa sta tutta nel cervello, desolatamente spopolato di neuroni.
Dicono i miei amici col sigaro di traverso: Sarkò è uno sportivo abituale, è allenato, eppure quasi ci rimane. Lo so: può capitare. Ma per restare a quel livello, potrei citare Bush, ciclista abituale, Putin, maestro di arti marziali, Aznar, che con duemila esercizi al giorno si è fatto addominali da Big-Jim, lo stesso Obama, che gioca a basket. Ma sarebbe puerile. La gara degli esempi non porta da nessuna parte.
Meglio chiudere ricordando quella volta che Jimmy Fixx, l'inventore dello jogging, morì a 52 anni, nell'84, proprio correndo. Fu il macabro trionfo per i detrattori dello sport adulto. Allora chiamai un luminare della ricerca, il professor Francesco Conconi, rettore dell'Università di Ferrara.

Gli posi la stessa provocazione: quello inventa il jogging come elisir di lunga vita e ci resta a 52 anni. Il professore non si scompose. Semplicemente, così rispose: «Se non avesse inventato lo jogging, sarebbe morto dieci anni prima».

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