Stavolta Fabrizio Del Noce non si è autosospeso da direttore di Raiuno. E non ha nemmeno minacciato di ritirare il logo della rete come fece ai tempi di Rockpolitik. «Per molto meno ci sono persone che non si sono più parlate per tutta la vita. Tutto dimenticato», ha scritto Aldo Grasso. Stavolta, al direttore di Raiuno, è andato bene anche il regalo a Prodi che Celentano ha fatto in diretta ai nove milioni e passa di telespettatori sintonizzati in quel momento. Due anni fa, quando nel mio piccolo ho partecipato come autore a Rockpolitik, il più grande evento televisivo dell’ultimo decennio - esperienza entusiasmante per la quale conservo profonda gratitudine a Celentano e a chi me l’ha permessa - e che la Rai per prima ha provveduto a rimuovere, due anni fa dunque, Del Noce esigeva il controllo sui testi. Celentano, invece, ben sostenuto da Claudia Mori, rivendicava la stessa autonomia e lo stesso contratto che già aveva funzionato nei precedenti Francamente me ne infischio e 125 milioni di... cazzate. Andò come i libri di storia della televisione scriveranno.
E stavolta com'è andata? A notte fonda, Del Noce ha consegnato alle agenzie il suo pensiero: «Un bel mix tra canzoni e monologhi, alta televisione. Gran bello spettacolo che ha toccato tanti temi senza essere provocatorio. Celentano ha dimostrato ancora una volta di essere un grande artista». Sul Corriere della Sera, Maria Volpe ha chiosato: «Forse ha ragione Adriano: i miracoli esistono». Complimenti per l’ironia. In questo caso, pur con grande rammarico, io preferisco essere esplicito: più che i miracoli, esiste l’ipocrisia. Ed esistono gli interessi. Per esempio, l’audience da rialzare per superare la concorrenza di Canale 5 nell'ultima settimana della stagione che conta. E, altro esempio, esiste un disco appena uscito da promuovere senza «essere costretti a fare il giro delle sette chiese... nelle peggiori trasmissioni» (Aldo Grasso) come fanno i comuni mortali ai quali, musicalmente, Celentano non appartiene. Quindi, giusto così? Ognuno lo decida in cuor suo, constatando che spesso gli interessi fanno perdere la memoria, scavalcare scogli assai ruvidi e usare frasi garbate per ritrovare chissà quale armonia.
Del resto, è così che funziona lo showbitz: un gioco delle parti in cui una mano lava l’altra. Inutile fare gli ingenui, i moralisti, le anime belle: vero. Però. Però, almeno, non parliamo troppo di ideali, di trasparenza, di etica. Gli interessi vincono, stop. L’audience, la promozione, la fiction, gli ospiti della scuderia.
Con alcune trovate geniali (bellissima la sigla d’inizio, divertente la parodia del giornalista impacciato, l’idea del clan di amici in un contesto intimista, il suggerimento «cristiano» che ogni cambiamento, anche di un partito, comincia da una rivoluzione interiore) e altre cadute patetiche e di stile (l’inizio con Mogol e Gianni Bella, la barzelletta in bagno, Laura Chiatti un po’ frenata, le accuse generalizzate agli architetti) La situazione di mia sorella non è buona ha superato il 32 per cento di share, sfiorando la soglia discriminate dei dieci milioni di telespettatori. Complessivamente, uno spettacolo un po’ farfugliato e noioso. Dopo Fantastico, Celentano fece Svalutation su Raitre (con Morandi, Baglioni, Paolo Rossi e Jovanotti) e fu quello un grande show intimista, sempre con l’idea del clan.
È il mondo dello spettacolo, bellezza. Quindi, tutto si tiene...
O no?
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