Milano - Nel suo nuovo ufficio c’è poco: qualche attestato di volo, qualche ricordo di famiglia. I Marzotto, quelli di Valdagno. Del resto l’ufficio di Matteo, l’erede manager, eterno bravo ragazzo, il figlio della contessa Marta, è solo provvisorio: presto si sposterà qualche stanza più in là, nella sede milanese di Vionnet, il marchio francese acquisito da poco. Si porterà il ritratto del nonno, comunque, e il quadro con due moto da corsa che si sorpassano. A 42 anni Matteo Marzotto è: imprenditore, vicepresidente della Fondazione per la ricerca sulla fibrosi cistica, presidente dell’Enit, l’agenzia nazionale del turismo. In pratica, da un anno a questa parte è il volto dell’Italia nel mondo. Lui precisa: «Più che altro è l’Enit che vende l’immagine del nostro Paese come destinazione turistica». Convegni, eventi, fiere, un centro studi. È tutto questo, Marzotto. Però gli manca quello che molti, quasi tutti gli altri hanno: una laurea. Una semplicissima laurea.
Scusi, ma perché dopo il liceo ha cominciato subito a lavorare? Che c’è, era pigro a scuola?
«Ho sempre avuto il mito del nonno, un uomo straordinario. Ero anche molto legato all’azienda di famiglia. Così ho voluto bruciare le tappe ed entrare subito in azienda, quasi considerando gli studi come un accessorio».
Lo considera uno sbaglio?
«La formazione accademica è utile. Ora penso che tutte le cose vadano fatte coi loro tempi. Io ho avuto la fortuna di avere grandi maestri e l’opportunità di compensare con l’esperienza diretta sul campo».
Non è andata male alla fine...
«Col senno di poi, qualche indicazione in più da mio padre mi sarebbe stata d’aiuto. Io ho vissuto molto nel libero arbitrio, diciamo che ho fatto un po’ da me. Però il mio impegno è stato sempre totale: su questo non ho nulla da rimproverarmi».
Però sull’università si è pentito?
«Se ci ripenso mi dico: avrei potuto. Ma sono un bilancia: il dubbio mi rimane sempre».
È pieno di dubbi?
«La cultura del dubbio aiuta».
Ma poi decide?
«Sì, poi decido. Perché sono costretto. Qualche volta però lascio cuocere, finché la decisione, diciamo, viene da sé».
È un anti bamboccione? Si ricorda, quelli di Padoa Schioppa...
«Sicuramente. Anche se bisogna distinguere. Il bamboccione obbligato, che non ha grandi risorse, merita maggiore rispetto: la società cambia, c’è una nuova famiglia, ci sono molti più single».
Insomma non è colpa sua?
«Forse il bamboccione fa parte del sistema. Io sono nato in una famiglia tradizionale e sono figlio di due genitori che adoro, ma che sono anche dei rompiscatole... Oggi però la società cambia e crea figure nuove».
Però lei non è bamboccione?
«No, di sicuro. Avrei potuto fare qualsiasi cosa, pure niente. Ma volevo entrare a tutti i costi in azienda, poi dimostrare il mio valore, ora faccio l’imprenditore libero... Io alzo sempre l’asticella».
È vero che non andrebbe in vacanza a Venezia? Proprio lei che è veneto?
«Ma no. Ci vado, ci vado. Le mie parole sono state tutt’altre. Venezia è un bene prezioso, non rinnovabile: va gestito con attenzione».
È gestito male?
«La Venezia di oggi è iperstressata. E, secondo me, questo stress non è sostenibile. Ho parlato per affetto, ma se poi altri travisano...».
E che altre città italiane le piacciono?
«Amo tutta l’Italia: il Veneto, dove sono cresciuto, in montagna. Ho la residenza a Valdagno, una casa in Toscana dove vado spesso, amo Roma, sto bene a Milano, adoro la Sicilia. E poi Venezia è importante anche dal punto di vista personale, come si fa a dire che non la amo».
Insomma c’è rimasto male...
«Ma sì, perché sono un idealista. E invece tanti sono in malafede».
Quando è diventato presidente dell’Enit ha detto che voleva provare a stare dall’altra parte, quella delle istituzioni. Allora com’è?
«Credo sia facile criticare la politica e intanto voltare le spalle. Ma viviamo in un mondo permeato dalla politica, specialmente se fai l’imprenditore. Ho capito che potevo mettermi in gioco e dare il mio contributo».
Pensa anche alla politica vera?
«Non sono portato».
Perché no?
«Sono un imprenditore, in questo momento ho interessi legati soprattutto all’azienda. Poi si può imparare tutto, ma non è questa la mia fase».
Che cosa sognava di fare da piccolo? Il campione?
«Ho sempre amato lo sport. Alla fine uno sportivo lo sono anche diventato: motori, bici. Il mio mito erano i piloti dell’aeronautica militare: il volo era un po’ un ideale, ora è una passione».
È la sua fissa?
«Sì. È anche un po’ una metafora della vita. Il mio libro, che uscirà a fine settembre, si intitola Volare alto».
Non ha paura?
«Sempre. Ma la paura è un elemento importante della vita. Passo per essere uno coraggioso, che fa cose pericolose, volo, vado in moto da corsa, scendo con la bici a tutta velocità, ma poi magari ho delle paure irrazionali... ».
E di che cosa ha paura?
«Di farmi male, per esempio. Ho paura della violenza delle persone, che scoppi una bomba in aeroporto».
Torniamo alle paure irrazionali... Che altro la spaventa?
«Be’, ho paura anche del buio».
Ma le dà fastidio quando dicono che è uno «leggero»?
«Chi non mi conosce, si fa un’idea guidata dal gossip. Dal quale è molto difficile difendersi, ci riesci solo se ti impegni molto. Ma se non hai nulla da nascondere... ».
Se ne frega?
«Il gossip è una categoria economica come le altre. La rispetto, a parte quando è proprio falso, o volutamente aggressivo. Quando magari peggiorano le foto».
Si sente inseguito?
«Per me non c’è problema, me ne frego, però limita un po’ la libertà. Per esempio se volessi incontrare qualcuno, o vestirmi in un certo modo... ».
E come vorrebbe vestirsi? Da punk?
«Ma no, io poi sono così noioso nel vestire. Comunque non mi lamento, è che devi fare attenzione. Insomma non è che me ne freghi del tutto, devi sempre stare un po’ composto».
Sembra uno molto composto di natura...
«Sì, però sono cosciente di tutto questo. Che poi sia leggero, lo pensano persone che non ho mai visto, con cui non ho mai parlato. Leggo i blog, mi sembra che la gente parli di me più con affetto».
Cerca il suo nome su internet?
«Qualche volta, sì. Trovo di tutto».
Allora avrà visto Google di recente. Matteo Marzotto è abbinato praticamente a una sola frase: «Naomi mi picchiava»...
«Hanno pubblicato quella notizia senza nemmeno aver ascoltato le mie parole in trasmissione. Non me la prendo col gossip, ma in questo caso... Se ci si può comportare così, allora è valido tutto. Io non ho niente da dire sull’argomento, ma ho passato una settimana a dovermi scusare senza motivo: un altro meno educato avrebbe mandato a quel paese tutti. Ti dici: allora non parlo più».
È molto legato alla sua famiglia?
«Sì, molto».
È mammone, stile maschio italiano?
«No. Ho una mamma particolare, le sono molto affezionato, però i miei genitori mi fanno arrabbiare. Anch’io li faccio arrabbiare, ma loro di più».
Pensa mai alla famiglia?
«Sì, ci penso sempre. Anche con molta emotività. È l’aggregazione fondamentale per l’uomo, poi ci sono le opportunità di farsela: la famiglia è una questione culturale, ma bisogna anche sentircisi».
E lei invece...
«Io non ancora. Rispetto la famiglia, so che può succedere, ma che non è automatico che succeda. E so che può anche non succedere. Sono liberale: capisco chi non si senta adatto a questo tipo di responsabilità. Anche gli amici, comunque, possono essere una famiglia».
E per lei è così? Gli amici sono una famiglia?
«Sì. Una cerchia molto ristretta, che diventa parte della tua vita».
Ha rimorsi? Qualcuno che invidia?
«Mah... L’invidia riesco a gestirla: se razionalizzo, scompare subito».
E che cosa invidia?
«Piccolezze... Ma so che ognuno ha la sua corsa, le sue paure, le sue incertezze. Nessuno vive a cuor leggero. Ecco, forse invidio chi ci riesce».
Vorrebbe essere fatalista?
«Lo sono, ma vorrei esserlo di più. E un po’ meno sensibile».
È tifoso?
«Interista. Fedele, coerente, moderato».
Niente stadio?
«Una volta l’anno, se m’invitano».
Quante ore lavora al giorno?
«Sempre. E poi faccio sport».
Una volta ha detto che la donna è l’«asset fondamentale» nella vita di un uomo...
«Confermo».
Ha
«Se uno è sposato, e felice, la moglie è la persona senza cui non può vivere. Più che l’affetto e l’amore, nella vita ci si sostiene. In una coppia è ciò che conta davvero».
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