Io, vedova di quei comunisti che lei preferisce ammazzati

Signor direttore,
qualche giorno fa, in un vecchio foglio di giornale, lessi che lei conservava un busto di Stalin, riconoscente per avere ammazzato lui più comunisti che Mussolini e Hitler messi assieme. Sono la vedova di uno di questi comunisti morti ammazzati, vivevo a Odessa e mi recavo ogni giorno alla prigione di Stato dove, dal mese di febbraio era rinchiuso mio marito. Erano i primi di giugno del 1937. Aspettavo il mio turno per passare i generi di soccorso e con me aspettavano alcune donne di Odessa, mogli di comunisti arrestati. Una di loro era stata testimone dell'arresto della delegazione polacca avvenuta alla stazione proprio quella mattina - uno dei delegati si era sparato un colpo di rivoltella -. Commentavano a bassa voce: «Ora è la volta dei comunisti...». (come oggi commenta lei). Nell'ottobre io, ancora fuori del carcere nell'attesa che si aprisse lo sportello per passare il soccorso, assistei con i miei occhi attoniti alla deportazione di migliaia di prigionieri. Lo spettacolo si ripeté nei giorni successivi: erano giovani, vecchi, adolescenti, uomini, donne... Tutti comunisti? No, direttore: i comunisti a Odessa erano pochi, non c'era tempo per scegliere e allora: «Purché il reo non si salvi il giusto pèra e l'innocente... », forse lei commenterà.

Conservi pure il busto di Stalin, ma non lo porti dietro se vorrà fare un viaggio in Ucraina: alla stazione controllano i bagagli... Perdoni questo piccolo raccontino, lo pubblichi se vorrà, e riceva intanto i miei saluti, senza rancore.
Maria Piccioni ved. Baccala
Milano

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