Irak, su Al Jazeera il video dei tre pacifisti rapiti cento giorni fa

Sono due canadesi e un britannico, non si vede l’americano. Stallo nelle trattative per il premier sciita

Nicola Greco

La televisione del Qatar Al Jazeera ha trasmesso ieri un video contenente la prova che tre dei quattro ostaggi rapiti in Irak il 26 novembre scorso sono vivi. Si tratta di tre operatori dell’organizzazione umanitaria Christian Peacemaker Teams, due canadesi e un britannico, sequestrati insieme a un loro collega americano, che nel video diffuso ieri non compare.
Il video porta sovrimpressa la data del 28 febbraio, e mostra i tre ostaggi - i canadesi James Loney, 41 anni, e Harmeet Singh Sooden, 32 anni, e l’inglese Norman Kember, 74 anni - seduti in una stanza mentre parlano rivolti alla telecamera. Non è possibile distinguere le parole dei tre pacifisti, che hanno la barba lunga, l’aria prostrata e indossano dei giubbotti invernali. Secondo Al Jazeera, i tre attivisti chiedono ai loro governi di lavorare per il loro rilascio. Nessuna notizia del quarto rapito, l’americano Tom Fox, 54 anni, la cui assenza dal video desta allarme.
I rapitori - che sostengono di appartenere alle «Brigate delle spade del diritto» - si erano fatti vivi l’ultima volta il 28 gennaio, con un video in cui minacciavano di uccidere gli ostaggi se i detenuti iracheni non fossero stati rilasciati dalle prigioni americane e irachene gestite dalle forze della coalizione.
A Bagdad proseguono intanto le difficili trattative tra i leader politici per la scelta del nuovo premier, trattative ostacolate da una serie di veti incrociati, che rischiano di far saltare la seduta inaugurale del nuovo Parlamento iracheno, prevista per domenica prossima, tanto che non è escluso un rinvio. Al centro della disputa c’è la revoca della candidatura unica del primo ministro uscente, lo sciita Ibrahim al Jaafari, a premier del futuro governo. Contro la candidatura, appoggiata dall’Alleanza irachena unita, la lista sciita vincitrice delle elezioni di dicembre, si battono i loro alleati della coalizione curda e i partiti sunniti.
Se la situazione politica è dominata dall’incertezza, continua invece incessante la sanguinosa offensiva dei terroristi, che soltanto la settimana scorsa hanno messo a segno quasi 200 attacchi. Lunga anche la catena di attentati di ieri. Diverse autobomba sono esplose nei quartieri di Al Qadra, Zafaraniya, Sadr City e Hallal della capitale, e altri attacchi si sono avuti a Kirkuk, Tikrit, Hilla, Balad e Hawija, con numerosi morti e feriti. Colpi di mortaio sono stati sparati contro la sede di un partito sunnita, mentre tre persone sono state uccise negli uffici del leader religioso radicale sciita Moqtada Sadr, a Baquba.
L’attentato dell’altro ieri, costato la vita a uno dei militari di più alto grado del Paese, il generale sunnita Mubdar Hatim Hazya al Dulaimi, responsabile delle forze irachene di stanza a Bagdad, è stato definito «un duro colpo» dal generale William Webster Jr, comandante della terza divisione della fanteria americana, responsabile fino a gennaio delle truppe Usa a Bagdad. Il generale è stato ucciso in un agguato al suo convoglio, che rientrava al quartier generale dopo una visita ai soldati di stanza a Kadamivah.
Sulla situazione irachena ha espresso un duro giudizio l’ambasciatore americano a Bagdad, Zalmay Khalilzad, secondo il quale in Irak c’è il rischio che «la violenza settaria diventi una vera e propria guerra civile».

Rovesciando il regime di Saddam Hussein nell’aprile 2003 - ha detto Khalilzad parlando con il Los Angeles Times -, è stato «aperto un vaso di Pandora». La strada per uscirne - ha aggiunto - è «uno sforzo per unire fra di loro le comunità irachene».

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