da Milano
Mi tolga subito una curiosità, caro Gianfranco Jannuzzo, ha sempre desiderato far sbellicare dalle risa gli spettatori? «Ma per niente, mi creda. Quand'ero universitario e frequentavo il laboratorio di recitazione di Gigi Proietti, sognavo di affermarmi come attore drammatico. Dapprima nel Tito Andronico di Lavia dove, sia pure in un ruolo minore, ogni gesto che compivo era di una crudeltà efferata e poi nella Venexiana, uno splendido madrigale amoroso del Cinquecento, dov'ero l'amante infuocato di Valeria Moriconi, che abbandonavo per una ragazza più giovane».
Cosa fece scattare la molla che trasformò un aitante giovanotto in un clown? «Fin dall'incontro con Rossella Falk che presiedette al mio debutto in Applause, il musical di Antonello Falqui, sapevo, anche se non osavo confessarmelo, che i miei mezzi mi trascinavano in una direzione opposta. Fu Rossella a incoraggiarmi a debuttare all'Orologio, una piccola sala nel centro di Roma con uno spettacolo di recitazione, canto e ballo intitolato, con spirito goliardico, al Bagna&Asciuga dove, come e peggio di Fregoli, facevo di tutto». Proprio di tutto? «Diciamo che almeno ci provavo. Aprivo la bocca e mi uscivano barzellette a raffica. Smettevo di blaterare ed ecco, d'improvviso, scendevo ai toni cupi e cadaverici di Carmelo Bene, allungavo un braccio e già mi vedevo volare nello spazio come Nureyev... Incoscienza, pura incoscienza». Più che incoscienza una grande palestra dove le sue doti si sprecavano... «Forse. È difficile giudicare col senno di poi ciò che ha compiuto, in passato, un corsaro intraprendente come il sottoscritto. Che adesso, tanto per cambiare, si è preso un'ennesima cotta per Noel Coward».
Già, Coward. Il re dell'umorismo anglosassone che ora ricrea in modo impagabile nel Divo Garry facendo faville al Manzoni di Milano.
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