Era tempo che Roberto Polillo decidesse di raccogliere in volume il meglio delle sue splendide fotografie, tutte in bianco e nero e scattate durante un centinaio di concerti di jazz in Italia e in altri Paesi europei. A prima vista, il libro sontuoso ed elegante (Swing, Bop & Free. Il jazz degli anni 60, Polillo Editore, pagg. 304, euro 55) sembra fatto in famiglia, e in certo senso lo è, ma ai massimi livelli. Roberto Polillo è il figlio maggiore di Arrigo Polillo, il più illustre critico musicale specializzato nel jazz apparso sulla scena italiana, purtroppo scomparso nel 1984 ad appena 65 anni. Diresse dal 1965 in poi la rivista mensile Musica Jazz, tuttora attiva per la direzione di Filippo Bianchi, e scrisse libri e articoli fondamentali dai quali Roberto ha ricavato pagine ben selezionate che ha inserito nel volume tra una foto e l'altra. Marco Polillo, fratello di Roberto, è stato per anni direttore generale di due grandi case editrici. Poi si è messo in proprio e ha opportunamente pensato di pubblicare fra gli altri il libro del fratello.
In questo suo mestiere di fotografo, svolto con intensità dal 1962 al 1974, poi abbandonato per l'informatica e ripreso di recente in seguito ad alcune mostre allestite in particolare da Siena Jazz, Roberto Polillo è stato un privilegiato e lo dice: «Ero al seguito di mio padre che utilizzava le mie foto per la sua rivista (...). Molti dei concerti erano organizzati da lui che, aiutato da un gruppo di amici appassionati di jazz, si occupava di tutto. Accoglieva i musicisti all'aeroporto, li accompagnava in albergo e molto spesso a cena, li presentava agli spettatori in teatro: curava, insomma, che tutto filasse liscio. I primi concerti che fotografai furono quelli del settimo Festival del jazz di Sanremo. Si era nel marzo del 1962 e io non avevo ancora compiuto sedici anni». La bellezza di queste foto, in quanto tali e in quanto documenti, è dovuta in primo luogo, com'è ovvio, all'abilità dell'autore, presto intuita dal padre che lo munì premurosamente di una macchina adeguata.
Ma molto importante è stata, fin dal principio, la loro finalità a una rapida pubblicazione. Quante volte noi giornalisti ci lamentiamo a malincuore di fotografie artisticamente meravigliose, ma inutilizzabili per quotidiani, settimanali o mensili. Roberto, invece, sotto questo aspetto ha sbagliato poche volte uno scatto: e non è un caso che non abbia mai fotografato i musicisti in studio.
C'è un'altra coincidenza fortunata. Gli anni più intensi di Roberto come fotografo sono straordinari per il jazz - diciamo pure irripetibili - sotto il profilo musicale e sociopolitico. Lo rileva Francesco Martinelli, direttore del Centro Studi Arrigo Polillo presso Siena Jazz, nella sua eccellente prefazione al libro. Fra le righe di Martinelli, per chi conosca la materia a livello professionale, si cela una vaga preoccupazione di apparire un lodatore del tempo passato, la stessa che ha l'estensore di questa nota. Ma né Martinelli né io lo siamo, anzi è vero il contrario. Tuttavia è innegabile che queste oltre 200 immagini siano una carrellata di autori-esecutori magistrali, la maggior parte dei quali - da Louis Armstrong a Duke Ellington, da Thelonious Monk a Eric Dolphy, da Paul Desmond a Gerry Mulligan: inutile continuare - non ci sono più.
La materia è ordinata secondo gli strumenti: sassofono, tromba, trombone, pianoforte, contrabbasso, batteria, vibrafono, chitarra, violino, orchestra, voce. Fra i tanti criteri che si potevano scegliere, questo è forse il più efficace e il più emozionante per chi guarda e legge. Anche per chi, al limite, non abbia mai conosciuto nessuno di persona.
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