Cultura e Spettacoli

Johnny Depp: «Dillinger spariva tra la folla. Io fuggo nella mia isola»

L'attore è il gangster in «Public Enemies»: «Un bandito, ma ribelle al sistema corrotto»

Johnny Depp: «Dillinger spariva
tra la folla. Io fuggo
nella mia isola»

Los Angeles - Johnny Depp si cala nei panni di un altro antieroe, il gangster degli anni '30 John Dillinger, in Public Enemies di Michael Mann (in uscita negli Stati Uniti il 1º luglio), con Marion Cotillard nel ruolo della sua compagna e Christian Bale in quello del poliziotto suanemesi. Durante la Grande Depressione Dillinger rubava alle odiatissime banche che avevano messo sul lastrico milioni di persone, e sfuggiva alla legge spostandosi da uno stato all'altro poiché allora non vi era una polizia federale. Le rapine, le evasioni rocambolesche e le fughe su automobili all'avanguardia per l'epoca lo resero leggendario, un eroe popolare che poteva nascondersi in pubblico senza timore di essere arrestato.

Come si è preparato per questo ruolo?
«Sono tornato nel Midwest della mia infanzia. Dillinger era un ragazzo di campagna di Moorsville, nell'Indiana, a 80 miglia da dove sono cresciuto, nel Kentucky. Malgrado l'assenza di registrazioni sonore di Dillinger ho trovato dei nastri con la voce di suo padre, quando li ho sentiti mi è parso di conoscerlo, ho pensato a mio nonno, che di giorno guidava il bus e di notte contrabbandava liquore. Ho visitato i luoghi chiave della sua vita: la prigione da cui evase, l'ostello dove sfuggì all'Fbi, il cinema davanti a cui morì. E nella prigione di Statesville, nell'Illinois, ho trovato una foto del mio patrigno, che vi scontò due anni per furto».

John Dillinger era una delle persone più famose della sua epoca, come lei...
«Sì, ma Dillinger amava la fama, l'adorazione delle masse. Non dico che non mi piaccia essere apprezzato, ma con la fama perdi l'anonimato. Mi piacerebbe portare i miei figli a Disneyland senza essere fissato come fossi un fenomeno da baraccone. Dillinger aveva una capacità unica di mescolarsi alla folla senza farsi riconoscere, si recò persino nella sede della polizia di Chicago, nella sezione a lui dedicata, senza essere riconosciuto. Andava al cinema e allo stadio. Io non ho questa capacità di camuffarmi, l'unico posto dove posso camminare tranquillo è un'isoletta nelle Bahamas (Little Hall's Pond Cay, la sua isola privata, ndr)».

Lei sa però creare personaggi iconici in cui si annulla.
«Grazie. La mia responsabilità come attore è di trovare l'essenza dei personaggi. Mi piace inventare qualcosa di diverso ogni volta, non voglio annoiare il pubblico. L'unica cosa che chiedo a un regista è di lasciarmi creare il ruolo secondo la mia immaginazione».

Una volta fatta la ricerca, come si concentra sul set?
«La musica mi ha sempre aiutato a mettermi nell'atmosfera giusta, per ogni film ho dei brani che ascolto ossessivamente. In questo caso era Nightmare di Artie Shaw».

Il pubblico sembra più affascinato dai cattivi che non dai buoni. È così anche per lei?
«Sì, ma dipende dal "cattivo". Un tipo come Charles Manson è solo un assassino, difficile essere affascinato da figure del genere. Ma fuorilegge come Dillinger, Bonnie e Clyde o Billy the Kid sono entrati nella cultura popolare perché erano gente comune che si è ribellata all'establishment».

Al cinema lei preferisce comunque sempre gli antieroi, gli emarginati, i fuorilegge. Perché?
«È vero, non penso che sarei un buon Superman. Francamente, mi ci vedo male in calzamaglia».

Il suo prossimo ruolo?
«Un giornalista degenerato nella Portorico degli anni '50. Il film è tratto da un  romanzoautobiografico del mio amico Hunter S. Thompson, l'autore di Fearand Loathing in Las Vegas. Ero a casa sua una dozzina di anni fa e trovai una cassa con su scritto The Rum Diary. Hunter si era scordato di averlo scritto. Lo lessi, lo trovai fantastico, Hunter lo pubblicò, e decidemmo che ne avremmo fatto un film. E anche se lui se ne è andato ho deciso di portare avanti il progetto».

I Caraibi sembrano proprio affascinarla in questo periodo.


«Sì, adoro la mia isola, anche se molti la possono considerare una stravaganza, perché quando hai il mio tipo di vita, di cui non mi lamento, per carità, ci sono momenti in cui non vuoi essere guardato, non vuoi parlare di cinema, non vuoi essere fotografato, e vuoi solo essere Johnny o papà».

Commenti