Tra i dodici campioni del dream-team americano di Ryder Cup, ci sarà anche Dustin Johnson. Lavete presente? È lo spilungone con lo swing lungo e la memoria corta. Lo stampellone simil-Pippo che allultima buca del Pga Championship 2010 non è riuscito a ricordarsi di quel foglietto. Niente di importante, per carità. Se non fosse che su quel foglietto cerano le regole locali stampate a caratteri cubitali. Quel foglietto che negli spogliatoi del Whistling Straits Golf Club era appeso ovunque.
Beh, Dustin non lo ha visto. Fatto sta che, quando era in testa al Pga Champioship e alla buca diciotto ha sparato il suo drive così storto da farlo atterrare in uno Zip Code diverso, la sua palla è piombata in un cumulo di sabbia disordinata dimenticata persino da Dio. Peccato che il foglietto in questione spiegasse chiaramente che quell'ammasso di terriccio era un bunker. E peccato soprattutto che lui ci abbia poggiato il suo bastone, su quella sabbia. Morale: due colpi di penalità, addio al titolo e due borse sotto agli occhi che in confronto Piazza Affari e Wall Street sono nulla.
Ora. La consapevolezza di bazzicare in un bunker è una qualità che ai golfisti, soprattutto se professionisti, è assai richiesta. Dustin non ce l'ha, evidentemente. Nonostante questo, a fine stagione Johnson potrebbe essere nominato Player of The Year per il Pga Tour americano. Se non altro, si stabilirebbe un record (poco invidiabile, per la verità): per la prima volta non si eleggerebbe qualcuno per aver vinto un Major. No. Ma per averne cestinati ben due. Già: il Pga Championship e un mese prima lo Us Open a Pebble Beach.
Partito in testa per l'ultimo giro, anche in California i neuroni del nostro Dustin hanno cominciato a ballare il Mambo Numer Five già alla buca due. E hanno proseguito. Alla tre, alla quattro, alla cinque e così via, in una cacofonia di note rock sempre più assordante. Fino alla diciotto. Quando, con l'espressione vuota di un pugile suonato, dopo ottantadue colpi ha stretto la mano al vincitore. A Graeme Mc Dowell.
Dunque, dietro la roccia, si nasconde un animo friabile. Anzi, friabilissimo. Come il suo swing: potente, potentissimo, anzi fragile. Con la faccia del bastone chiusa all'apice del backswing, i colpi di Johnson coprono distanze chilometriche in lunghezza. Qualche volta anche in larghezza.
Però il ragazzo sa pattare. E approcciare. E ha nelle mani la stessa delicatezza del King Kong cinematografico, quando, in cima al grattacielo, stringeva con amore tra i suoi ditoni pelosi una nevroticizzante Jessica Lange. In più, dopo le telenovelas dello Us Open e del Pga Championship, ha anche imparato, nell'ordine, ad avere pazienza e quindi a non fidarsi della sabbia. Morale: nei match di Ryder Cup Dustin sarà un avversario ostico. Soprattutto considerate la pressione che sa incutere sugli avversari sul tee e le valangate di birdie che si porta in dote.
Se comunque Johnson dovesse fallire l'appuntamento in Galles, Capitan Montgomerie dovrà ringraziare Greenpeace.
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