José María Zabal Blasco

Aveva trentotto anni, questo spagnolo di Valencia nato nel giorno di s. Giuseppe del 1898. A dodici anni rimase orfano di padre e, dopo gli studi, fu preso come apprendista nello studio dell’avvocato Pablo Meléndez Gonzalo (poi anch’egli assassinato dai miliziani durante la guerra civile del 1936-39). Superato un concorso venne assunto come funzionario nelle ferrovie spagnole per il compartimento di Valencia. Nel 1925 si sposò con la sua fidanzata di sempre, Catalina Cerdá Palop, da cui ebbe tre figli. José María Zabal Blasco era un uomo di profonda fede, membro dell’Azione Cattolica e del sindacato cattolico. In quest’ultima posizione e forte della sua esperienza giuridica, difendeva i lavoratori, soprattutto gli operai. Ma si trattava degli operai e dei lavoratori sbagliati, perché bisogna essere «rossi» per avere diritto a questi titoli, altrimenti si è solo feccia, untermensch da spazzare via alla prima occasione buona. E l’occasione venne con la Repubblica, incarognendosi vieppiù con l’inizio della guerra civile («guerra civile» per i repubblicani; per i nazionalisti fu «cruzada», crociata, vera e propria). Per quanto riguarda José María Zabal Blasco, egli viveva ahimè in una zona caldissima, tant’è che i rojos non tardarono ad andare ad acciuffarlo.

Lo tennero un mesetto in una «prigione del popolo»; poi, dopo il processo (naturalmente «popolare»), decisero che non aveva diritto di calcare la stessa terra e respirare la stessa aria dei buoni rivoluzionari. Così, il giorno dell’Immacolata, lo portarono in località Picadero de la Paterna e gli spararono.
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