Julia Rodzinska

Nel 1999 il papa Giovanni Paolo II beatificò centootto martiri polacchi della seconda guerra mondiale, uccisi dai nazisti in odio alla fede cattolica. Ricompresi sotto il nome del capogruppo, Anton Julian Nowowiejski (l’anziano vescovo di Plock morto nel lager di Dachau a causa dei maltrattamenti subiti), ne abbiamo ricordati qui molti, man mano che cadeva la loro ricorrenza. Oggi è il turno di suor Julia Rodzinska, una educatrice domenicana di quarantasei anni. Venne arrestata dalla Gestapo nel 1943 e rinchiusa nel lager di Stutthof, dove morì di tifo due anni dopo, quasi a un passo dalla fine della guerra. Suor Julia Rodzinska aveva preso il velo nel 1916 e si era sempre occupata di orfani, tra i quali era diventata popolarissima. Per loro era l’unica madre che avessero mai avuto, e davvero suor Julia ci sapeva fare coi piccoli. Nel campo di concentramento in cui la misero non c’erano bambini ma molte donne ebree. Fu nell’occuparsi di quelle tra loro che erano malate che suor Julia rimase contagiata. I nazisti le avevano provate tutte per sradicare il cattolicesimo. E fin da subito. Saliti al potere nel 1933, fino al 1937 non fecero altro che gettare fango sui preti accusandoli (nulla di nuovo sotto il sole) di pedofilia. Più di settemila, tra sacerdoti e religiosi, passarono per i tribunali tedeschi.

Ma le prove a loro carico furono trovate così risibili che i giudici dovettero rimandare assolti quasi tutti gli imputati. Solo poco più di un centinaio subì condanne, anche se le accuse erano il più delle volte inconsistenti. La guerra facilitò le cose ai nazisti.

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