Inaugurazione con grande assente, ieri, a Palazzo Reale: dovremo aspettare fino a martedì per poter ammirare quella che Vittorio Sgarbi ha definito la «Cappella Sistina dell'arte moderna», ovvero la «Composizione VII» di Wassily Kandinsky, in arrivo dalla Galleria Tretjakov di Mosca con qualche lungaggine burocratica di troppo (e altri cinquantamila euro sborsati dal Comune per il prestito).
Capolavoro degli anni Dieci del Novecento, la «Composizione VII» non è comunque l'unico pezzo importante della mostra Kandinsky e l'astrattismo in Italia che ha il merito di portare a Milano una quarantina di opere dell'artista russo e una ricca selezione di lavori di quanti, nel nostro Paese, furono da lui influenzati. «Kandinsky fu rivoluzionario per eccellenza - spiega l'assessore alla Cultura Vittorio Sgarbi - perché scardina il tema dello spazio, che da luogo del corpo diventa luogo della mente, vera e propria sintesi della modernità». Non si stupisca allora il visitatore se troverà complesso accostarsi alle opere del maestro russo che Luciano Caramel ha selezionano: la pittura di Kandinsky è meditativa e pensosa perché, lo ammette lui stesso, «la forma ha un suo suono interiore». La sua ricerca si sviluppa sui colori (come in «Verde su rosa») o sulle composizioni come in «Nodo Rosso» o in «Blu cielo» del '40. Kandinsky morirà di lì a quattro anni, ma la sua lezione non è stata vana: come ricostruito da Ada Masoero nel catalogo della mostra Edizioni Gabriele Mazzotta, fertile fu il lascito della sua «maniera» , anche tra i pittori di casa nostra.
A 60 anni dalla rassegna a Palazzo Reale «Arte astratta e concreta», prima grande mostra dedicata all'argomento dopo la devastazione della Seconda Guerra Mondiale, Kandinsky torna. E il suo stile, nel labirintico mondo della pittura novecentesca italiana qui rappresentata da 170 opere di una cinquantina di artisti diversi, si trasforma nel nostro filo d'Arianna. Si comincia con i rapporti tra Futurismo e Astrattismo, con Bruno Munari ed Enrico Prampolini, si passa ai biancoscuri di Lucio Fontana e alle composizioni di Osvaldo Licini. Non mancano i riferimenti a due mostre: una, milanesissima, nel '34 alla Galleria del Milione, dove per la prima volta l'artista presentò nel nostro Paese i suoi lavori, e poi la retrospettiva alla Biennale di Venezia del Cinquanta. La prima è riecheggiata nelle opere di Mauro Reggiani, nelle sculture di Fausto Melotti, nelle costruzioni di Luigi Veronesi. Mentre sul secondo evento è Gabriele Mazzotta, ideatore della mostra, a ricordare un aneddoto: «Zig-zag bianchi», forse l'opera più significativa di Kandinsky ora in mostra, fu oggetto di un lungo contendere tra i vertici della Biennale e Nina, esosa vedova del maestro. Ebbene, i veneziani non smentirono la loro fama e convinsero la donna e vendere il quadro per 800mila lire: oggi l'opera appartiene alla collezione permanente di Ca' Pesaro e vale qualcosa come 20 milioni di euro. Il viaggio nel mondo dell'astrattismo italiano si chiude con Gillo Dorfles, Piero Dorazio, Carla Accardi (elegantissima la sua «Integrazione lunga») e poi ancora Novelli, Nigro, Santomaso. «Non una mostra evento, ma una riflessione sulla storia dell'arte», ha detto Sgarbi.
Kandinsky e l'astrattismo in Italia 1930-1950 a Palazzo Reale fino al 24 giugno
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.