Venezia - Gli occhi azzurri della tredicenne Saoirse Ronan, sgranati su un mondo che la affascina perché le fa paura, hanno lo stesso colore di quelli a cui in vecchiaia Vanessa Redgrave affida il compito di un'impossibile redenzione. Fra quel primo sguardo dilatato eppure opaco, e quest'ultimo limpido e tuttavia velato, si inserisce il bagliore sconfitto ma non domo di Keira Knightley, ragazza upper class altera e annoiata che in un solo giorno conosce l'amore e invano combatterà per non farselo sottrarre.
È una storia tutta al femminile Atonement (Espiazione) di Joe Wright, dall'omonimo romanzo di Ian McEwan, che ha inaugurato ieri in concorso la 64ª Mostra del Cinema, tre età, adolescenza, giovinezza e vecchiaia, affidate a tre attrici ciascuna chiamata a un ruolo e a un carattere propri: febbrile incoscienza, fiera determinazione, sofferta accettazione... Difficile dire chi e se di loro e fra loro prevalga, tanto sono egualmente superbe.
In un'elegante camicia bianca, i bianchi capelli raccolti a coda di cavallo, la Redgrave, un nome che da solo racconta la storia del cinema inglese, ha nel film il ruolo catartico di chi riassume una vicenda nel momento stesso in cui decide di assumersela per intero. «I bambini possono essere colpevoli? Credo di no, ma questo non li salva lo stesso dal peso della colpa. È l'impossibilità di rimediare il male, ciò che lo rende così disperato. Il personaggio di Briony, che io interpreto al termine della vita, affida alla sua capacità di scrittrice il compito impossibile di rimediare al dramma che la sua immaginazione troppo fervida di ragazzina aveva provocato. Crea per la giovane coppia che rovinò un'altra esistenza, un'esistenza felice. È l'unica cosa che può fare, è la sola cosa che sa fare».
Della giovane coppia, Keira Knightley è Cecilia Tellis, sorella e vittima di Briony, una bellezza talmente androgina sullo schermo che quando emerge da un tuffo in sottoveste sembra una divinità pagana la cui identità sessuale sia rimasta sott'acqua. Nella vita di tutti i giorni c'è questa ventunenne talmente femminile che Chanel ha affidato a lei la campagna per il suo nuovo profumo, ma talmente efebica, al limite dell'anoressia, che ha dovuto affidare al computer il compito di rimpolparne il seno. «La pubblicità è semplicemente finzione» minimizza lei con il riso tipico della sua età, «mentre al cinema c'è un gioco sottile fra realtà e immaginazione, dove i confini sono sì offuscati, ma sta a noi attori rendere il tutto credibile». Già eroina nella saga dei Pirati dei Caraibi («no, non ci sarà una quarta puntata, tre è il numero perfetto». «Chi bacia meglio fra Orlando Bloom e Johnny Depp? Direi James McAvoy, il mio partner in Atonement...»), una nomination all'Oscar per Orgoglio e pregiudizio, la Knightley si appresta a girare Seta, dall'omonimo romanzo di Alessandro Baricco, e ha appena terminato The Edge of Love, sulla vita di Dylan Thomas, il più pazzo e il più alcolizzato dei poeti inglesi.
Del personaggio di Cecilia sottolinea la diversità rispetto al proprio carattere. «Non è una figura simpatica, può apparire sprezzante, però è una donna disposta a lottare. Pensa di conoscersi, ma non si è mai veramente rivelata a se stessa. Il suo rapporto con Robbie è viziato dal fatto che sono cresciuti insieme, dall'infanzia, lui figlio della governante dei suoi genitori, ed è grazie a quest'ultimi, del resto, che Robbie ha potuto studiare, andare a Cambridge... Non riesce ad ammettere, insomma, che il loro rapporto sia andato al di là di una relazione fraterna... Quando lo fa, si ritrova innamorata e così facendo si condanna. Non avevo letto il romanzo di McEwan, anche se era fra quelli che mia madre mi ha negli anni regalato. Nel leggere il copione, però, mi sono commossa e mi è venuto da piangere. E questo è per me un motivo più che sufficiente per girare un film».
Atonement è anche una storia di pregiudizi di classe, l'aristocrazia che non può ammettere che ci sia chi possa pensare di sollevarsi al suo livello.
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