Il killer del vigile confessa: «L’ho investito io»

Il killer del vigile confessa: «L’ho investito io»

«Ero io alla guida del Suv quella sera. E avevo paura di essere fermato perché ero senza patente. Ma non ho investito apposta il vigile. Semplicemente non l’ho visto e nemmeno in seguito ho capito che stavo trascinando il suo corpo lungo la strada. Ho realizzato che potevo avergli fatto qualcosa, che potevo averlo ferito, quando sono mi sono accorto che la sua bicicletta era sotto il mio paraurti. Solo in quel momento ho capito che probabilmente lo avevo ferito. Più tardi, quando ho saputo di averlo ucciso, non riuscivo ad accettarlo».
Non ha riservato grosse sorprese l’interrogatorio di garanzia di Remi Nicolic, il giovane nomade slavo accusato di aver investito il vigile Nicolò Savarino alla guida dell’ormai famigerato Bmw X5 lo scorso 12 gennaio alla Bovisa. Il ragazzo, alla presenza del suo avvocato David Maria Russo, è stato sentito ieri mattina alle 10 dal gip Giuseppe Vanore nel carcere di San Vittore. E ha dichiarato quello che aveva già ammesso poco dopo il suo arresto in Ungheria all’avvocato che lo assisteva in quel paese, ammissioni di colpevolezza che Il Giornale aveva anticipato nei giorni scorsi.
Giubbotto blu, un paio di pantaloni scuri e un paio di scarpe da ginnastica, il ragazzo è apparso molto provato, spaventato e più volte, durante l’interrogatorio, è scoppiato a piangere, dicendo di essere molto dispiaciuto per quel che ha fatto. Quando il magistrato lo ha invitato a fornirgli le sue generalità, precisando di conoscerlo come il 24enne Goico Jovanovic, il ragazzo ha risposto di chiamarsi invece Remi Nicolic e di essere nato a Parigi il 15 maggio 1994, quindi 17 anni e mezzo fa.
Durante la ricostruzione dei fatti, il giovane nomade ha spiegato che la sera del 12 gennaio, deciso a non fermarsi al controllo del vigile che gli aveva intimato l’alt con il fischietto, è scappato a tutta velocità senza rendersi conto di aver investito il pubblico ufficiale.
«Ho sentito un tonfo contro la macchina quando ho superato il marciapiedi per uscire dal parcheggio, ma ho creduto di aver bucato una ruota o che il paraurti si fosse staccato - ha detto il ragazzo -. Non ho mai visto il corpo del vigile e non mi sono reso conto che lo stavo trascinando con l’auto. Solo quando, più avanti, abbiamo staccato la bicicletta dal paraurti, abbiamo capito che forse era successo qualcosa al vigile».
Quindi il ragazzo ha fornito il nome del nomade maggiorenne che era con lui in macchina quel pomeriggio (lo stesso indicato dai suoi famigliari alla polizia all’inizio delle indagini, ndr), rifiutandosi però di raccontare tutto quel che ha fatto dopo aver parcheggiato la macchina in via Lancetti, compresa naturalmente la fuga in Ungheria. «Lo spiegherò più avanti» ha dichiarato il ragazzo.


L’avvocato Russo è convinto che la Procura - che non ha la certezza che il ragazzo sia minore o abbia compiuto la maggiore età - ora invierà gli atti dell’inchiesta al tribunale dei minori in modo che vengano svolte le opportune perizie.

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