Il killeraggio del gruppo Espresso E Silvio diventa un «ricettatore»

Berlusconi nella storia di Marrazzo è un personaggio minore, periferico, una comparsa. I protagonisti sono un governatore ricattato, quattro carabinieri e uno o due transessuali. Ma per D’Avanzo è troppo poco. Senza il Cavaliere la cronaca non è cronaca. È senza sale, è inutile, è innocua, è falsa. Senza il Cavaliere Repubblica non esiste. Questo è il dramma di un intero quotidiano, di un gruppo editoriale, condannato a mettere al centro dell’universo l’uomo che odiano. Se una farfalla batte le ali nel 45° parallelo sud, in mezzo al Pacifico, Berlusconi senza dubbio deve aver fatto qualcosa di male. Questa la chiamano ossessione. E a lungo andare rischia di diventare pericolosa. Tanto i cattivi sono sempre gli altri.
Abracadabra. È un gioco di prestigio. La storia di Marrazzo, i trans, il video, lo scandalo, il condominio a ore di via Gradoli, i ricatti, l’imbarazzo, le dimissioni, il convento, l’addio alla vita pubblica sporcano e imbarazzano il moralismo del «partito antiberlusconiano». È un passo falso che per qualche giorno ha strozzato le parole dei padri predicatori di Repubblica. Che fare, adesso? Serve una magia. La bufera che guarda a sinistra deve ritornare sul solito personaggio, Silvio B., il Caimano, il principio di tutti i mali. Come? Tutti ci pensano un po’ e poi D’Avanzo trova la soluzione. Il trucco è questo. Berlusconi si ritrova tra le mani questo cavolo di video. È un giro un po’ lungo. I carabinieri lo passano all’agenzia Photo Masi, da lì viene offerto in giro qua e là, arriva sul tavolo di Alfonso Signorini, direttore di Chi, che lo passa ai vertici della Mondadori e poi a Berlusconi. Il premier telefona a Marrazzo e lo avverte. Berlusconi pensa di essersi comportato da gentiluomo. Ma è da qui che Repubblica parte per architettare la magia.
Il Cavaliere diventa un ricattatore, uno che occulta la prova di un reato, un ricettatore. Il gioco è fatto. Il signor B. ancora una volta va punito. D’Avanzo fa un appello ai pm e scrive: «Se la legge è uguale per tutti, è ragionevole pensare che la procura di Roma cercherà di capire chi ha pilotato i falsi ricattatori mentre invierà a Milano, per competenza, le carte di un’ipotetica ricettazione».
D’Avanzo chiama questo giornale, questo qui che state leggendo, la «macchina del fango». Quelli che scrivono qui sono killer, il direttore è un killer, i lettori leggono e si bevono le parole dei killer. Qui i killer, lì i partigiani. Repubblica e L’Espresso non gettano fango. No, mai. Il loro giornalismo è un «dovere morale». È resistenza. È civiltà. È guanti bianchi. È la verità per definizione. È il sigillo della fede. Se si scrive mezza parola critica su Napolitano è vilipendio, se si accusa il presidente del Consiglio di ricatto e ricettazione (senza uno straccio di prova) è giornalismo onesto. Paradossale. Quando si parla di Berlusconi le cariche istituzionali non esistono. Non esiste più nulla. Spara e basta. L’Espresso può mettere in copertina la foto di Alfano e raccontare il ministro della Giustizia come un mezzo mafioso e nessuno si scandalizza. Non ci sono fatti, solo insinuazioni buttate qua e là. In fondo è siciliano. E quindi quasi sicuramente colluso. Si parla di voti chiesti ai boss, si parla di pranzi con Ciancimino junior, si dice che la legge anti intercettazioni fa bene ai mafiosi. Si parla, si dice, si sussurra. E il gioco è fatto: il Guardasigilli è quasi mafioso.


Non c’è nulla da fare: questo governo è colpevole fino a prova contraria. «Qualcuno doveva aver diffamato Josef K., perché, senza che avesse fatto nulla di male, una mattina venne arrestato». È così che comincia il Processo.

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