King contro Kubrick Due modi diversi di vivere la luccicanza

Il romanzo è opera di un umanista che crede nel soprannaturale, il film è la visione di uno scettico geniale. Entrambi capolavori

Jack Nicholson in "Shining"
Jack Nicholson in "Shining"

Pubblichiamo la premessa de I segreti di Shining. King contro Kubrick di Alessandro Gnocchi, caporedattore de il Giornale , in uscita il 18 marzo (Barney, pagg. 126, euro 13,50).

Il telefono strillava sempre a orari impossibili.

Stanley Kubrick chiamava poco prima dell'inizio delle riprese del suo nuovo film, Shining . Il set era stato allestito agli Elstree Studios in Inghilterra. Era sterminato. Il regista aveva preteso che fosse ricostruito l'intero Overlook Hotel, l'isolato e lussuoso albergo di montagna in cui si svolgeva la tragica storia del custode invernale Jack Torrance e della sua famiglia. Inoltre aveva imposto la riproduzione di una parte degli esterni, incluso il famoso giardino-labirinto. Il labirinto era una licenza poetica: mancava nel romanzo di Stephen King da cui era tratta la pellicola e difficilmente poteva crescere intorno ai duemila metri di altitudine ove sembrava sorgere l'Overlook Hotel. Perché Kubrick aveva voluto proprio ambientare lo spaventoso finale in un labirinto «impossibile»?

Nel Maine, Stephen King, l'autore del romanzo Shining , andava rassegnato a rispondere al telefono. Sapeva comunque che la cosa sarebbe stata rapida. Kubrick non era di troppe parole. Voleva discutere con lui dei massimi sistemi, come l'esistenza dell'inferno, e chiedere qualche consiglio. Lo scrittore aveva pubblicato Shining qualche anno prima, nel 1977. Era stato un bestseller. Per la critica, a prescindere dal successo, King restava un autore di serie B. All'epoca i suoi libri erano considerati roba da supermercato. Kubrick era invece un genio, per definizione. La fama era meritata grazie a una serie impressionante di capolavori: Dottor Stranamore , Lolita , 2001. Odissea nello spazio , Arancia meccanica , Barry Lyndon .

Agli occhi di Stephen King, Shining significava molto. In quelle pagine aveva esorcizzato tutte le sue paure. Per questo lo scrittore era un po' preoccupato della rilettura che ne avrebbe fatto Kubrick, un uomo che non riusciva a capire. O forse era vero il contrario. Lo capiva fin troppo bene. Nel libro di King il labirinto non c'era. Al suo posto, l'autore aveva immaginato un giardino figurato con siepi dalle forme animali. Siepi mostruose che prendono vita al fine di minacciare Jack Torrance e suo figlio Danny.

Le telefonate andarono avanti per qualche tempo. Il film uscì nel 1980. Al botteghino, dopo una buona partenza, ebbe una battuta d'arresto. Nonostante la pellicola fosse già nelle sale, Kubrick dovette apportare alcuni tagli per ridurre il minutaggio. Può sembrare incredibile ma Shining , oggi considerato un capolavoro, si guadagnò due candidature ai Razzie Awards, i premi destinati al cinema spazzatura: peggiore pellicola e peggiore attrice protagonista (Shelley Duvall). Le recensioni furono discordanti. Alla fine fu un discreto successo. King avanzò qualche perplessità durante la fase di lavorazione. Quando il film giunse nei cinema, evitò di commentare al fine di non alimentare polemiche danneggiando gli incassi. Presto però mise da parte la diplomazia. Nel numero di Playboy del giugno 1983, comparve un'intervista rilasciata da King a Eric Norden. Era un regolamento di conti. A suo modo di vedere il regista aveva completamente frainteso il libro. Non poteva andare diversamente perché Kubrick, secondo King, «è una persona che pensa troppo e sente poco».

King sente. Kubrick pensa troppo. King racconta la vicenda di un uomo in fondo buono che si lascia sopraffare dal Male. Kubrick racconta la vicenda di uomo in fondo cattivo dal primo istante in cui compare sullo schermo. King scrive un romanzo dell'orrore. Kubrick gira una fantasia filosofica.

Stessa storia, due capolavori dalle prospettive opposte. Entrambe legittime, perché in fondo Kubrick non fa altro che enfatizzare alcuni aspetti del libro, non centrali a parere di King. Nel confronto tra queste due grandi personalità, si riflettono due posizioni culturali che hanno attraversato tutto il Novecento (come minimo). L'umanista King contro l'esteta Kubrick. Il credente (nel soprannaturale, che è diverso dall'essere religioso) contro lo scettico. Lo scrittore morale (che sa collocare il Bene e il Male) contro il relativista. La cosa affascinante è che la storia di Jack, spogliata dalla personalità di King e Kubrick, si presta a entrambe le letture. Sgombrato il campo da assurde rivalità tra due campioni, si può osservare che il romanzo di King contiene, per così dire, il punto di vista del film di Kubrick. Ma non viceversa. Non è un giudizio di valore. Può darsi che lo sguardo di King sia più profondo. Può darsi che lo sguardo di Kubrick sia più a fuoco.

Quel che è certo è che nessuno di noi potrebbe dirsi un uomo completo se non oscillasse quotidianamente, a volte nel giro di pochi minuti, da un estremo all'altro, da King a Kubrick. Ed è bello, forse necessario per sopravvivere, credere che Stephen King abbia ragione, anche se per la maggior parte del tempo ci sentiamo comparse in un film di Stanley Kubrick.

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