Ferruccio Gattuso
A volte ritornano, dice lo slogan che fa da sottotitolo a tanti film horror di serie B. Questa volta però la partita si gioca tutta in serie A: perché il giocatore in campo è un numero uno e perché, bisogna dire anche questo, gli avversari che il giocatore si sceglie sono anch'essi da match di cartello.
Aguzzate la vista, magari abbassatela a un'altezza non troppo evidente, guardate all'orizzonte, e vedrete spuntare - come dalle nebbie dei film horror di cui si diceva - nientemeno che Kowalski. Irriverente, caustico, forse un po' più disilluso, l'alter ego di Paolo Rossi (il cui nome è pescato in famiglia: è quello della nonna istriana) torna a occupare la scena, dei teatri e della piazza virtuale italiana.
Chiamatemi Kowalski - Il Ritorno - in cartellone al Teatro Strehler dal 14 al 26 marzo e dal 5 al 13 aprile - comporta per l'attore, milanese d'azione ma nato a Monfalcone, una missione particolare: un viaggio a cavallo del tempo, con balzi decisi nel passato e nella nostalgia, e altrettanto improvvisi scatti in avanti, al futuro, prossimo e lontano. Migliore o peggiore, questo futuro? Chissà. Ma se un giullare come Kowalski saprà sempre schiarirsi la voce, allora la sua opinione può essere utile, che la si condivida o meno.
«Si chiama Il Ritorno perché si tratta esattamente di questo - spiega Paolo Rossi - Lo spettacolo originale Chiamatemi Kowalski risale al 1986, fanno ormai vent'anni suonati. Ultimamente in alcuni miei show ho ripescato dei brani da quel repertorio e, con mio grande stupore, ho notato che la gente li riteneva nuovi di zecca. Insomma, erano ancora attualissimi. Non saprei dire se questo significhi che le cose non sono cambiate affatto, o se in quelle vecchie profezie avevo colto nel segno».
La lingua di Kowalski è sempre stata affilata, e c'è da aspettarsi che, di questi tempi (elettorali), il giullare dagli occhi chiari sia passato dall'arrotino a rifinire la lama: «Nel mirino, vorrei chiarire, ci sono essenzialmente io - continua l'attore - Questo è uno spettacolo sulla memoria, una capacità che mi sembra stiamo perdendo progressivamente: per di più, la gente ha smesso di leggere, e leggere è ricordare. Sarei contento anche se aprissero la Settimana enigmistica, che tiene allenata la mente. Attraverso il passato cerco di leggere il futuro, partendo sempre dai miei racconti surreali. Sono storie che nascono dal basso, dalla gente comune, più che caricature del potere. E c'è anche molta autoironia: calarmi nell'alter ego Kowalski mi è utile per prendere in giro Paolo Rossi».
Il comico dichiaratamente di sinistra tornerà allo Strehler, dopo questo primo passaggio, proprio a ridosso del redde rationem elettorale: sicuri che non farà il tifo? «Be, posso dire che nello spettacolo non parlo di cronaca - spiega Rossi -. Va bene, tutti si aspettano che io dica qualcosa su Berlusconi, ma io invece non lo nomino. E me lo posso permettere perché, se molti non se lo ricordano, io sono stato uno dei primi a inserirlo in uno dei miei brani, e proprio nel 1986. Prima ancora che prendesse il Milan! A parte gli scherzi, penso che bisogna un po' staccarsi dalla realtà, perlomeno quella che ci racconta la tv, un mezzo che se la passa davvero male, drogato com'è di reality. Io, invece, sono per la... surreality».
Sul palco, insieme a Kowalski, ci sarà - nel rispetto della vecchia formula - una band musicale pronta a commentare i balzi dialettici dei vari monologhi: alla voce cantante (ma anche recitante) un'amica e alleata imprevista, Syria.
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