L’Amante di Richard tra strazio e ironia

La trama è nota. Richard e Sarah, due compassati borghesi dell’Inghilterra anni Sessanta, si tradiscono l’un l’altro e si raccontano le loro infedeltà. I loro amanti sono però degli alter ego del rispettivo partner: nella sua versione fedifraga Richard si trasforma in un avventuriero senza scrupoli, mentre Sarah gioca a fare la donna disinibita. Da quando Harold Pinter ha scritto L’amante sono passati più di quarant’anni: il testo risente non poco del tempo, al punto da sembrarci addirittura ingenuo, o perlomeno teneramente antico, nel suo tentativo di sondare il mistero della vita di coppia e di descriverne i lati d’ombra. Claudio Autelli ha perciò deciso di spazzolare la polvere che si era depositata su questo atto unico rivisitandolo con una buona dose di ingegno e di temerarietà. I protagonisti del suo spettacolo, in scena al Teatro Litta sino a giovedì, sono due individui alienati e patetici, che talvolta sembrano persino assumere connotazioni fantozziane. Richard sprofonda in mutande nella poltrona, intento a leggere i listini di borsa, mentre Sarah si dedica nevroticamente alla cura della casa, peraltro spoglia di arredi, finché l’uno e l’altra decidono di assumere la loro identità simulata e di rompere la noia che caratterizza il loro rapporto. Il gioco si ripete numerose volte, ma lascia sempre dentro di loro un vuoto incolmabile, che sembra progressivamente ampliarsi nel corso dello spettacolo. Claudio Autelli è particolarmente abile nell’utilizzare la musica come se fosse un terzo personaggio, che si inserisce nel rapporto di coppia mettendone a nudo l’insensatezza e ribadendone allo la lancinante necessità.

Per il resto, questa messinscena de L’amante, inspiegabilmente fraintesa da certa critica, si regge sulla bravura dei due giovani interpreti, Valentina Picenni e Michele Schiano di Cola, e sulla funambolica capacità di Autelli di mescolare il grottesco col tragico, l’ironia con lo strazio, la disinvoltura con la delicatezza.

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