Politica

L’America come Peter Pan fa sfilare i sogni del mondo

Sulle passerelle di New York Ralph Lauren abbina il tailleur al panama e a tacchi altissimi. Calvin Klein rilegge il football in chiave romantica

Daniela Fedi

da New York

L’America vista dalla moda è proprio l’isola che non c’è. È un numero spropositato di obesi che faticosamente rotola lungo le strade delle città, mentre le passerelle di New York rilanciano come e più del solito un ideale di magrezza irraggiungibile per le donne normali essendo le modelle in media più alte del 16 per cento e più magre del 10. È anche un sogno che tutto il mondo chiama American Dream anche se negli ultimi anni molti di loro hanno smesso di crederci. Ma questo grande paese con i suoi 170 milioni di abitanti e le sue incrollabili convinzioni giuste o sbagliate che siano, è l’ombelico del mondo per le grandi firme del made in Usa: Ralph Lauren, Calvin Klein, Donna Karan. Infatti la settimana di sfilate newyorkesi del prêt-à-porter femminile per la primavera/estate 2007 si è conclusa con una specie di viaggio virtuale attraverso storie ed etnie lontane per poi tornare felicemente agli usi e costumi di qui. Il risultato in un certo senso era perfetto grazie a quel forte pragmatismo tipicamente statunitense che alla fin fine ti fa chiedere: «Perché andare nella foresta quando ci sono gli alberi anche a Central Park?».
Per esempio Ralph Lauren che ha cominciato a lavorare nel 1967 con 26 scatole di cravatte e oggi è lo stilista più ricco del mondo con un’azienda definibile solo come impero, nella sua bella sfilata di ieri ha mescolato suggestioni dall’India dei Maraja e dalla Russia zarista con il classico stile maschile al femminile che ha sempre attratto le donne dalla forte personalità. Così i solidi tailleur pantaloni portati però con scarpe di vernice dai tacchi assassini e classici cappelli Panama a larghe tese, si alternavano agli spettacolari abiti da sera in lamé ricamato nel nuovo punto di colore «platino antico». Invece i semplici vestiti da giorno, tagliati tanto a chemisier quanto a tubino, si mescolavano con il tipico completo pantaloni del Punjab in broccato metallico, con i turbanti da Maraja e con un senso di opulenza coloniale. In prima fila oltre a Lauren Hutton più seducente che mai, a Diane Kruger che nel film Troy ha avuto il ruolo di Elena «la donna che fece partire mille navi», faceva davvero bella mostra di sé Lauren Bush, nipote dell’attuale presidente degli Stati Uniti e futura moglie di David Lauren, uno dei tre figli dello stilista. Più americano di così sembrerebbe francamente impossibile, anche se il brasiliano Francisco Costa che con molto talento disegna la linea donna di Calvin Klein, in un certo senso ha fatto di più. «Ho rubato all’abbigliamento dei giocatori di football americano la semplicità delle linee e la solidità dei materiali - ha detto nel backstage - aggiungendo poi svolazzanti vestine di organza sopra a queste guaine protettive». Tutti d’accordo, quindi, sull’interessante proposta di passerella: un tecnoromanticismo che sa di nuovo. Meno convincente, invece l’idea di offrire il party del dopo sfilata al cinquantaduesimo piano del «Seven Building», uno dei grattacieli rimasti miracolosamente in piedi vicino alle torri gemelle. La vista impagabile sulla città che non dorme mai era per molti avvelenata da quella angosciosa del sottostante Ground Zero. Tutt’altra atmosfera da Donna Karan, stilista newyorkese la cui griffe è oggi controllata dal Gruppo Lvmh (Louis Vuitton Moet Hennessy). Nel suo caso l’etnico è qualcosa di più che un’ispirazione subliminale: le splendide stampe fatte a mano su seta, jersey e altri materiali preziosi provengono dai ricordi di un lungo viaggio nell’Africa Nera. Però le silhouette lunghe, fluide e danzanti spesso a contrasto con gli strettissimi pantaloni fuseaux che in America si chiamano leggins, creavano un’immagine tipicamente metropolitana: la classica city girl che ha sempre fatto da motore di ricerca per Donna Karan. Per quanto riguarda Zac Posen, designer prediletto dalla buona società di New York, la sua sfilata può essere definita al tempo stesso piacevole e vergognosa. Infatti stavolta il simpatico giovanotto ha guardato molto bene le collezioni di Valentino, mentre nelle scorse stagioni si è ispirato un po’ a Ferrè e parecchio a Versace.

I vestiti non erano male, ma l’originalità è un bene prezioso nella moda come nella vita.

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