L’apocalisse, ultima moda dei festival

da Venezia

Ultimo esempio di cinematografia apocalittica da festival, dopo Codice 46, Il tempo dei lupi e V per vendetta, Children of Men di Alfonso Cuarón è stato presentato ieri in concorso alla Mostra. Ipotizza senza ridere un futuro - un 2027 che pare un 2007 - dove l’angosciosa attualità si oppone all'idillico passato di Beatles e marijuana. Da un lato, dunque cortei di miliziani islamici e di lager tenuti da militari britannici, di declino demografico e invasioni etniche; dall’altro, evocazioni di una sorta di ri-nascita di Gesù (però femmina e dalla pelle nera, oltre che di padre ignoto) e un sessantottardo ormai ottuagenario (Michael Caine) che, come allora, fuma marijuana e ascolta Ruby Tuesday! Il messicano Cuarón - regista della terza puntata del ciclo di Harry Potter - costruisce in Children of Men un’Inghilterra senza magie e senza speranze, dove il protagonista, Clive Owen, lotta contro la sterilità mondiale, cominciata misteriosamente diciotto anni prima. Poiché gli inglesi sono gente civile, si scannano fra loro, però meno di altri popoli alle prese con lo stesso problema...

Dalla frequentazione del recente cinema hollywoodiano, Cuarón ha tratto la convinzione che il cinema sia come la tv e che occorra adottare un linguaggio didascalico. Così, dopo aver appesantito il suo film di metafore, simbologie, allegorie e allusioni, le esplicita in uno stile più pedante che pedagogico.

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