L’arte che sconvolse Milano

S calda il cuore vedere al Pac il video che documenta le «radiose giornate» novembrine del 1970, con il centro di Milano in subbuglio non per le sfilate di moda ma perchè trasformato in uno stupefacente palcoscenico dell’avanguardia artistica internazionale. La città era «in ostaggio» dei Nouveau realistes, movimento fondato dal critico francese Pierre Restany, scomparso a Parigi cinque anni fa, raro esempio di come l’arte lasci il segno soltanto attraverso l’azione degli uomini. Restany non aveva inventato nulla ma, da «nomade culturale» quale era, aveva intuito e fatto propria l’aura estetica del suo tempo e, sul finire degli anni ’50, radunato un gruppo di artisti sparsi per l’Europa che avevano un minimo comun denominatore: la nobilitazione artistica dei rifiuti della società industriale. Che le opere nascessero dall’assemblaggio di reperti metallici (César), o dall’accumulazione ansiosa di oggetti quotidiani come carcasse di auto, orologi, o strumenti musicali (Arman), o ancora da «quadri-trappola» composti dall’avanzo di un banchetto (Spoerri), o ancora dallo strappo di manifesti pubblicitari simbolo del consumismo, tutto questo non faceva differenza. L’unica cosa che contava, scrisse nel 1960 Restany nel suo Manifesto del Nouveau Realisme, era l’allure, l’impronta di quell’oggetto, ovvero «lo scatenarsi dell'affettività meccanica, della diffusione della sensibilità al di là dei limiti della sua percezione». Non è un caso che proprio Milano, allora capitale del boom economico, instaurò una liaison dangereuse con Parigi divenendo ben presto madrina di fatto del movimento. Ancora una volta ciò avvenne non grazie all’arte ma grazie agli uomini. Cioè, oltre a Restany e ai suoi discepoli, a un grande meridionale in terra meneghina, il gallerista Guido Le Noci, che accolse sotto la sua ala l’intero movimento a cui successivamente si aggiunse anche «l’impacchettatore» Christo. «Guido e io -scrisse Restany- ci siamo scelti la nostra famiglia, fatta di qualche artista, qualche scrittore, intellettuale o poeta che venivano a sostenere la grande avventura della nostra visione». Gli «illuminati», guarda caso, si chiamavano Buzzati, Sanguineti, Ungaretti, Argan. Fu proprio Le Noci a convincere l’allora giovanissimo assessore alla Cultura Paolo Pillitteri a celebrare degnamente il decennale del Nouveau Realisme sotto la Madonnina. E così fu. Furono giorni febbrili e indimenticabili, come ben si vede nel documentario che, nella mostra inaugurata ieri al Pac a cura di Renato Barilli, accompagna una rassegna di opere di quegli artisti dal 1970 in poi. L’anniversario, come si conviene agli artisti veri, ruppe ogni regola e, anzichè limitarsi alla collettiva alla Rotonda della Besana, invase gli spazi della città.

Christo impacchettò la statua di Leonardo in piazza Scala, Rotella eseguì i suoi decollage a Brera, Raysse inviò un raggio luminoso verso il cielo, Tinguely eresse una pirotecnica statua fallica in piazza Duomo. Daniel Spoerri (a cui ieri è stato consegnato l’Ambrogino d’oro) celebrò infine una cena-funerale del movimento. La rivoluzione a Milano era nata e lì doveva morire.

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