L’arte della scena secondo Beni Montresor

Bozzetti, disegni, costumi, foto di scenografie e allestimenti teatrali e una rassegna video ricordano alla Casa dei Teatri di Villa Pamphilj fino al primo giugno Beni Montresor (1926-2001), scenografo, costumista, regista, scrittore e illustratore di libri per bambini. Curata da Andrea Mancini e Gaetano Miglioranzi, la mostra ricostruisce 50 anni di lavoro di un protagonista del teatro, dal cromatismo veneto degli inizi all’essenzialità della fase finale giocata sugli effetti di luce. A Roma dove frequenta nel ’50 il Centro Sperimentale di Cinematografia il veronese Montresor scopre la sua identità di scenografo-costumista. Ma non ama la teoria, meglio sbirciare le riprese a Cinecittà. Lavorerà con Fellini, Castellani, De Sica e tanti altri. Ama il nuovo, vuole passare al teatro e, senza sapere una parola d’inglese, nel ’59 s’imbarca con i suoi disegni per New York. Col favore di Giancarlo Menotti nel ’60 debutta al Festival di Spoleto nell’opera Vanessa di Samuel Barber, segue nel ’65 la Cenerentola di Rossini al Metropolitan dove elimina gli allestimenti dark preferendo colori mediterranei e tecniche antiche come la foglia d’oro. E poi il Covent Garden di Londra, l’Opera di Parigi, il Colon di Buenos Aires, la Scala, a fianco di Solti, Gavazzeni, Muti. Montresor reinventa col pittore Paolino Libralato gli apparati scenici settecenteschi, le magie dei tulle intarsiati con tela dipinta.

Le scene si riducono a sfondi grigi-argento che assorbono i diversi colori delle luci di scena o a elementari forme geometriche realizzate in materiali lucidi e specchianti che mutano secondo la luce. Fino ad approdare alla «scena vuota». Come nella Butterfly con Raina Kabaivanska del ’78 all’Arena di Verona.

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