Maurizio Sciaccaluga era un uomo semplice. Pensava che l'arte dovesse essere un segno di distinzione, un modo di vedere il mondo non prima concepito. Non era quindi un critico d'arte, era un uomo in attesa di stupirsi. Che è la ragione per cui l'arte esiste. Ha lavorato con me all'ombra di Alessandro Riva che me lo introduceva, con quel nome strano, come per compensare la sua leggerezza, la sua lievità, il suo essere bambino.
Sciaccaluga era l'uomo normale, pratico, che aveva un rapporto ragionevole con gli artisti, convinto che il mondo dell'arte non fosse il loro, ma un sistema predisposto per punire i migliori e far avanzare i più furbi. Dopo un po' lo accolsi, osservandone la forma un po' compressa, tarchiata, l'occhio strabico. Aveva le idee chiare ed era profondamente rassegnato. Tutto quello che non gli piaceva, aveva successo nel mondo nell'arte, che grazie ad alcuni guru, sembrava armato per sconfiggerci. Ogni volta egli assumeva la posizione del perdente. Non che non fosse ragionevole. Ma dovevo fargli notare che al potere eravamo noi, e che a preoccuparsi dovevano essere gli altri che vedevano minacciati il loro ordine, i loro affari, i loro progetti.
Così lo trovavo ad un certo punto della giornata, sconfortato, con lo stesso atteggiamento di Bartali, e cercavo di fargli capire che noi eravamo all'attacco e gli altri dovevano difendersi, e venire a trattare, a discutere, a mediare.
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