di Carlo Maria Lomartire
Finalmente abbiamo capito cosè questa storia dell«ascolto», della «partecipazione», della «consultazione dei cittadini», rappresentata fin dalla campagna elettorale di Pisapia come la teoria fondativa, lo strumento ideologico centrale della sua politica. Lo abbiamo capito laltro giorno in piazza Affari, sotto quel dito medio puntato verso il cielo, generoso dono dello scultore Cattelan alla città, da mesi oggetto di polemiche e di scontri teorici basati sullinterrogativo «cosè larte, cosè il bello?». Quesito filosofico senza risposta. O meglio, al quale, comè noto, da qualche millennio si danno sempre e contemporaneamente tante risposte diverse. Dunque vogliamo che quella opinata opera darte resti lì? O possiamo rispondere al generoso artista «grazie tante ma se la porti altrove, la sua scultura»?
«Ascolteremo, consulteremo la città, è una decisione che prenderemo con i milanesi», è stata la scelta dellassessore alla Cultura Stefano Boeri. E laltra sera lo ha fatto: ha convocato il piazza Affari qualche decina di persone, alcune sciure e sciurette libere da impegni di shopping e di salotto, dei sedicenti intellettuali non meglio definiti, perfino qualche scultore o aspirante tale fra i quali, pare, anche degli amici di Cattelan, soprattutto molti giornalisti e ha fatto girare un microfono. Sì o no alla scultura? E i cronisti presenti hanno fatto la sorprendente scoperta che, ohibò!, «i milanesi sono divisi sul dito di Cattelan». Be, potevamo anticiparglielo noi. Daltra parte non è questa la ragione per la quale Boeri ha deciso di «ascoltare», di «consultare» la città? La quale, nel frattempo era «consultata» anche su Internet, diventato ormai un infallibile oracolo, una bocca della verità elettronica del terzo millennio. Che votiamo a fare? Basta Internet.
Ma di quale «città» stiamo parlando? Sì perché il fatto è, caro assessore, che quella di piazza Affari non era «la città», ma qualche decina di persone scelte non a caso e informate della sua intenzione di «ascoltarle» e «consultarle». E ora che lo ha fatto, scoprendo che sulla questione «i milanesi sono divisi», ha deciso che quella scultura ce la teniamo. «Consultazione» prevedibilmente inutile, dunque. Inutile ma comoda, un comodo alibi, perché ora lei potrà raccontare la frottola di aver deciso dopo aver «ascoltato» la città. Un capolavoro di ipocrisia democratica. Ma anche demagogica, e propagandistica. Giacché le regole della democrazia (quella vera) non impongono che le scelte di governo vengano prese con consultazioni arbitrarie e casuali, ma dopo un seri dibattiti negli organismi istituzionali preposti e assumendosi, infine, la responsabilità personale e politica delle decisioni. Lei così non si assume alcuna responsabilità perché ci verrà a raccontare che a decidere sono stati i non meglio identificati «milanesi». Nel Sessantotto o nella Cina di Mao o nella Libia di Gheddafi si sarebbe detto «le masse». Perché vede, assessore Boeri, io vorrei poter dare un giudizio sulla sua politica, sulle decisioni prese da lei, senza che lei possa sventolare lalibi, la foglia di fico della «consultazione» e dell«ascolto».
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