U n anno senza Edmondo Berselli è un bel vantaggio regalato al conformismo. Con la penuria di menti libere e di penne felici che già dobbiamo patire, la sua mancanza giustifica una certa qual incazzatura. Chissà che cosa avrebbe scritto sulla parabola (s)futurista di Gianfranco Fini, suo bersaglio prediletto. O sul bunga bunga. Sui centocinquantanni della nostra Italietta. Sui correttissimi elenchi della coppia Saviano-Fazio. Chissà. E poi: siamo proprio sicuri che davanti al libertinismo gaudente-malinconico del premier, avrebbe sottoscritto senza se e senza ma il puritanesimo inquisitorio del Palasharp?
Eddy Berselli non manca solo per questo. Sì, certo: il grande eclettico. Il teorico della memoria, «unica cosa che conta nella vita». Il difensore scanzonato dei «Fab Sixties». Il cultore della «vanvera» raziocinante. Colui che scriveva custodendo un segreto amore per la vita. Il contaminatore di codici alti e bassi, i Pooh e Althusser, Patty Pravo e Keynes. Oppure lartigiano conservatore. Convinto che «la vita va salvata per intero e cè un unico modo per farlo: riscrivendola, trasfigurando sulla pagina il suo respiro», come scrive Franco Marcoaldi nella prefazione a Quel gran pezzo dellItalia (Mondadori, pagg. 1430, euro 40), il volumone che raccoglie tutti i suoi libri, uscito nel primo anniversario della morte, l11 aprile 2010. Tutto vero. Tutti talenti rari, ricordati con affetto negli interventi di questi giorni.
Però, se dovessimo applicare a Eddy il metodo che lui stesso adoperava, potremmo imbatterci in qualche sorpresa. Si legge in Il più mancino dei tiri: «Ciò che ci piace invece è il trascinante effetto retorico di una storia deliberatamente alternativa rifatta a posteriori. Limportante è rivelare un frammento, cha dà il via a un disegno nascosto che era sfuggito a tutti, una verità talmente chiara nellintrico dei fatti da essere rimasta a lungo indecifrata e indicibile». Nel suo caso, Mariolino Corso era «lestraneo, lindefinibile, lalieno... il primo violino che suona una melodia tutta sua mentre lorchestra segue disciplinatamente lo spartito». Oppure, Lucio Battisti. «Ciascuno ha i suoi modelli - scrive Berselli in Liù, biografia morale di un cane, il suo libro più nobilmente sentimentale - Io ne ho scelto uno che non ha mai contestato niente e si è limitato a lavorare accanitamente sul pezzo. Perché il Maestro solitario lavorava proprio come il cane. Raccoglieva i suoi materiali sonori, li esponeva in ordine, catalogati concettualmente davanti a sé e pronti per luso». Poi il decennio beat delle minigonne, della spensieratezza, del sogno riformista troncato dal «sarcofago ideologico» del Sessantotto. Infine, anche Liù, la sua labrador femmina, titolare come il solito Mario Corso, di una personalità irriducibile in grado di mandare per aria ogni spartito preconfezionato, ogni idealismo globalizzante, ogni piano tuttaltro che quinquennale. Ecco: riscrivendo «a posteriori» una storia «deliberatamente alternativa» e volendo «rivelare un frammento, una verità talmente chiara nellintrico dei fatti da essere rimasta a lungo indecifrata e indicibile» vien da dire che lui, Eddy, è stato il primo intellettuale di sinistra a comprendere che legemonia culturale della sinistra era al tramonto. Anzi, era finita. Uno schema superato, stantio. Una bussola smagnetizzata. Così, mentre il resto dellorchestra perseguiva il solito spartito, lui, anarchico e refrattario alle tattiche come Mario Corso, suonava il primo violino. A costo di un certo isolamento, di una certa scomodità anche nei circoli di casa. Una distanza divenuta graffiante in Venerati maestri. Dove Berselli selezionò larte, la cultura, il cinema con un criterio manco a dirlo popolare: «Roba che dà fastidio; roba che grazie al cielo non dà fastidio». Risultato numero uno? Unecatombe di miti, madamine e sussieghi. Soprattutto di sinistra, dal Gruppo Espresso allAmbra Jovinelli passando per lEinaudi. Risultato numero due? Silenzi, recensioni perplesse. Poche righe anche ora, nella citata prefazione di Marcoaldi. Poi arrivò Sinistrati, spietata analisi dellimprovvida new deal veltroniana di un osservatore ancora di sinistra: «Loperazione è perfettamente riuscita. Il paziente è morto». Oppure: «I care, we can, they win».
Mai coltivate le convinzioni di superiorità, cadute le utopie idealistiche, sgretolato lapparato culturale egemonico, Berselli rimase uomo disincantato.
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