L’EREDITÀ DI BETTINO CRAXI

Alessandro Colucci

Non è agevole intervenire da «trentenne» su un argomento che proprio i trentenni chiama in causa. Perché nel nuovo fervore che sollecita socialisti noti e meno noti, ad intervenire sulla questione socialista, una persona in particolare ha espresso valutazioni, analisi, prospettive condivisibili e di alto significato politico: Rino Formica. Nella sua intervista al Corriere della Sera, infatti, egli chiede l’azzeramento dei vertici dei micro-psi dislocati nelle varie formazioni politiche: e sostiene che bisogna affidare ai trentenni, ad una nuova generazione dunque, il compito di ridare vita al nostro glorioso partito. E non solo per nostalgia o patriottismo di partito: semplicemente perché, nel nostro Paese, la sua assenza si avverte pesantemente.
Ecco la difficoltà, dunque: un trentenne che, come tale, si sente chiamato in causa, può intervenire su tale argomento? Io credo che se lo fa con animo pulito ed intenzioni scevre da ogni personale interesse, può farlo. Deve farlo. Con questo spirito vorrei esprimere alcune considerazioni che proprio l'intervento di Rino Formica mi suggerisce. Il partito socialista è stato distrutto, cancellato: questo è un dato. Da chi, come e perché è questione che intendo lasciare agli storici perché la cronaca non può che raccontare fatti ed azzardare ipotesi: non certo esprimere giudizi esaustivi su una vicenda tanto complessa. A me interessa soffermarmi solo sulla parte che oggi ci riguarda: quella che possiamo chiamare dell’«autoliquidazione» e del rilancio.
Da quel momento sono nate varie sigle, rappresentazioni mimetiche del vecchio Psi; sono state consumate azioni di apparentamento acritiche e frettolose: diciamo, a fatica, «solo» per mantenere in vita una fiammella di socialismo. Il risultato, comunque, lo abbiamo davanti agli occhi. È come se alla bandiera col garofano avessero sparato a pallettoni: e così, lacerata e piena di buchi, non è più un simbolo da incarnare, sostenere, seguire, ma solo un ricordo, un bel ricordo da archiviare o da inseguire. Così, tirando le somme, Rino Formica ha parlato di dirigenti che debbono farsi da parte, di trentenni che debbono prendere in mano quel vessillo, ricucirlo, restaurarlo. Addirittura crearne uno nuovo e ripartire per un futuro politico non da inventare ma da ricostruire su un progetto alto, per valore, come la nostra Costituzione; indispensabile al Paese, come la nostra storia. Perché i trentenni? Probabilmente perché, è la mia risposta, i trentenni che intendono riprendere il testimone della staffetta socialista non hanno alle spalle lacerazioni, confronti, scontri che ne potrebbero aver segnato il passato; perché non possono scambiarsi accuse reciproche e rimproverarsi atteggiamenti e scelte improvvide.
Quando «noi trentenni» ci guardiamo negli occhi ci comunichiamo con forza ed entusiasmo il desiderio di far rinascere il partito socialista, ci scambiamo silenziosi messaggi nei quali la storia gloriosa di un partito che ha dato tante conquiste al Paese e lo ha rinnovato, ci riempie il cuore e suscita energie. Noi trentenni abbiamo sempre sperato che la saggezza e l’esperienza dei principali rappresentanti del Psi-liquidato confluissero in un progetto e trovassero un punto di riferimento preciso per ripartire. Ma la nostra attesa è stata vana. Avremmo voluto metterci al loro servizio, fare esperienza con loro: ma il vuoto attuale ci dice cose non belle sui motivi per cui ciò non è potuto avvenire; ci ispira sconforto più che speranza. Ma non ci guardiamo smarriti e delusi. Può un giovane sentirsi smarrito e deluso ed abbandonare tutto dedicandosi a qualcos’altro perché nessuno gli indica una via, perché il progetto dei padri è fallito? No, proprio no. L’entusiasmo, la voglia di lottare sono proprio la caratteristica dei giovani. L’esperienza se la faranno come hanno fatto tutti: sul campo. Perché se non hanno qualcuno a cui riferirsi nei comportamenti, avranno una storia alle spalle a cui richiamarsi. E la storia socialista parla di volontà di rinnovamento del Paese, di risposte nuove alle esigenze dei cittadini, di dedizione assoluta al rilancio dell’Italia, di un approccio riformatore e moderato alle sfide che una grande nazione deve affrontare. Ed ai trentenni potrà mai mancare l’apporto dei padri socialisti?
Ho letto e riletto gli atti della conferenza programmatica di Rimini: quando l’obiettivo di governare il cambiamento nell’Italia dei meriti e dei bisogni, era lo scopo di tutti noi. Di un partito che già allora, su tutte le più grandi questioni interne ed internazionali aveva espresso una elaborazione culturale di altissimo profilo, tuttora ineguagliata. Ed allora, alla domanda: «Può rinascere il partito socialista», io credo di poter rispondere in un solo modo: «Sì». Noi trentenni ci siamo, noi trentenni lo vogliamo fortemente.

Certo la diaspora ci ha scompaginato, i rapporti ed i confronti si sono diradati fino a sparire: certo, non sappiamo quanti siamo e come potremo fare. Ma sono sicuro che questa volontà, questo entusiasmo, questa voglia di ricostruire un nuovo socialismo per un nuovo Paese ci siano, prorompenti e saldi.

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