L’eroe di Tienanmen pastore in America: la Cina sarà cristiana

Era uno dei 21 super ricercati, la Guardia Rossa lo voleva morto. Per fuggire ha vinto fame, gelo e malattie

Silvia Kramar

A poche ore dal massacro di Tienanmen, verso il tramonto di quel 4 giugno del 1989 trascritto nei libri di storia col sangue degli studenti dell’università di Pechino, le autorità cinesi avevano già iniziato la caccia all’uomo. Sulla lista nera della Guardia Rossa c’erano i nomi di 21 studenti: gli organizzatori dello sciopero della fame che era stato schiacciato, nella piazza cinese, dall’avanzata dei carrarmati comunisti. Decine di manifesti con le loro fotografie erano già stati affissi agli angoli delle strade, a ogni cinese, di provincia in provincia, era stato spiegato tra le righe che il dovere di ogni buon cittadino era di stanarli e consegnarli alle autorità.
Durante i primi giorni, la caccia agli studenti era sembrata come una performance, esagerata e quasi surreale, del teatro totalitario del regime cinese, ma col passare delle settimane, quando i nomi degli arrestati erano comparsi sulle prime pagine dei giornali, le strade erano state seminate di posti di blocco e, su pullman e treni, circolavano decine di agenti della polizia segreta. I cinesi avevano capito che quella caccia non sarebbe finita finché l’ultimo studente non fosse stato catturato.
Verso la fine di luglio, solo pochi di loro erano ancora alla macchia. Tra questi spiccava il nome di Zhang Boli, un ventiseienne laureato a pieni voti dall’università «Beida». Scappando, aveva trovato rifugio presso amici e parenti nella provincia natia di Heilongjiang, al confine con la Russia. Aveva fatto la fame, aveva conosciuto la maschera atroce della disperazione, aveva rischiato di morire di gelo nelle notti trascorse all’addiaccio, era stato attaccato dai lupi, si era visto passare davanti i ricordi di una vita privilegiata che non sarebbe mai più tornata.
Le autorità avevano dato ordine di sparargli a vista, mentre lui, dopo aver abbandonato la giovane moglie e sua figlia, «Piccola neve», a Pechino, viaggiava travestito da contadino in una Cina abitata dalla povertà e dai mangliu: i lavoratori ambulanti, con i loro sogni più esili degli alberi di bambù, le loro speranze più semplici del volo degli aquiloni, con le loro puzzolenti sigarette cinesi, che chiamano «Doppia felicità rossa», con le bottiglie di Laobaigan trangugiate in compagnia, davanti alla sfortuna effimera delle partite di mahjong e a quella immutabile di un marxismo che in Cina era anche una religione.
Per due anni poi, anzi per settecento giorni, col nome di Wang il vecchio, aveva vissuto in una capanna abbandonata, sotto la neve dei lunghi inverni di quella provincia accarezzata dai venti impietosi della Siberia e dalle estati in cui lui, per sopravvivere, aveva piantato riso, pescando carpe e cacciando cervi, topi e anatre selvatiche.
Zhang Boli ha descritto quegli anni in una splendida autobiografia quando, dopo essere riuscito a fuggire dalla Cina passando attraverso Hong Kong, prima di ottenere asilo politico presso l’ambasciata statunitense, ed essere accolto dall’università di Princeton. Escape from China era stato pubblicato dalla Washington Square press e tradotto in sette lingue.
Pubblicato nel 1989, questo diario non racconta però i dettagli più preziosi della sua nuova vita; che Zhang Boli affronta, ogni giorno, in una chiesa battista di Reston, in Virginia, da quando ne è diventato il pastore. Poiché il più eloquente miracolo della sua vita, e di quella fuga, è accaduto una sera, in un piccolo villaggio. Boli vi era arrivato stremato, ma all’interno di quella capanna c’era una vecchia che cuciva alla luce di una lanterna fatta con una lattina di frutta in scatola. Quando si era ripreso, la donna gli aveva chiesto una cortesia. «Sono cristiana - gli aveva detto - Questo è il mio Vangelo, ma non so leggere». Lui aveva aperto le pagine al Vangelo secondo Giovanni.
«Quando ho letto i capoversi che descrivevano la crocefissione sono scoppiato a piangere», ci ha raccontato Boli in Virginia. «Vivevo alla macchia e pensavo a quanti cinesi avrebbero assistito alla mia condanna a morte tra l’indifferenza e la gioia. Sentii che la vita non aveva alcun significato, che non importava che tu lottassi per la tua vita o quella degli altri. Quello che Gesù aveva detto prima di morire, “Padre perdonali perché non sanno quello che fanno”, mi aveva profondamente scioccato».
Mentre le vecchia lo curava e lo sfamava, uccidendo il suo unico pollo per riscaldarlo col suo brodo, Zhang Boli cominciò a credere che vi fosse un Dio, a questo mondo. «Pensai: se non esistesse, questo mondo sarebbe in mano ai demoni. Sapete, in Cina abbiamo avuto i nostri demoni. Mao Zedong era un diavolo: per lui la vita non aveva nessun valore. Deng Xiaoping aveva ordinato di aprire il fuoco su migliaia di studenti innocenti. Eppure io, nel momento in cui mi convertii, riuscii finalmente a dormire. Non chiudevo occhi da mesi».
In quel villaggio di trecento anime i vangeli erano arrivati, un capitolo per volta, copiati a mano da alcuni ragazzini di Henan. Così come la Buona novella continua ad arrivare, ancora scritta a mano, nei paesini più nascosti di una Cina che oggi conta già 80 milioni di fedeli. Un numero che sta crescendo ad una velocità esaltante dal 1979, da quando il governo ha allentato il controllo sulle scelte spirituali.
La conversione di Zhang Boli è emblematica di una nuova Cina in cui la undergound church dei protestanti americani sta facendo breccia nel cuore di un popolo per il quale il comunismo era l’unica fede. Era stata proprio la vedova di Mao a esclamare, sorridendo: «In Cina il cristianesimo è morto per sempre e vive solo nei musei della storia».
«Invece la nuova Cina diventerà cristiana. C’è un vuoto spirituale che i vangeli sanno riempire. Certo, i comunisti sono i nemici naturali del cristianesimo - ha spiegato Boli -. Ma non sanno che questo mondo appartiene a Dio. I maoisti hanno sradicato tutte forme di religione perché il comunismo è di per sé una religione. Pechino non voleva che qualcuno gli facesse concorrenza. Nel 1949 c’erano all’incirca 700mila cristiani: li schiacciarono e decimarono i missionari stranieri. Chiusero qualsiasi rapporto col mondo cattolico perché Mao era diventato il nostro Papa».
Anche adesso in Cina è permessa solo la chiesa di Stato: la chiamano «La chiesa delle tre personalità». «I suoi pastori vengono pagati dal governo. Più che evangelizzare fanno propaganda».
Perchè ha scritto questo libro? «Quando sono arrivato in America mi fu diagnosticato un tumore. Volevo che la mia storia fosse trasmessa ai cinesi e che andasse a far parte degli annali sulla rivolta di Tienanmen. Volevo che mia figlia, crescendo, vi potesse ritrovare suo padre. Rimasi in ospedale per un anno negli Usa e un altro a Taiwan. Fu allora che lo scrissi».
Cosa l’ha veramente convinto che i Vangeli raccontassero la verità? «Ero il primo di sette figli, mia madre faceva la fame per crescerci. Adorava leggere. Trascorreva lunghe ore sui romanzi d’amore di personaggi come Xue Baochai, Lin Daiyu e Kang Youwei. Da lei imparai l’amore per i libri, soprattutto quelli di filosofia; ma leggendoli non credevo che ci fosse speranza per la Cina. Invece leggendo i Vangeli ho trovato finalmente speranza. Vivendo in quelle capanne ho conosciuto una Cina semplice e vera. Non c’erano soldi, non c’erano scuole, ma erano contadini sereni».
Mentre almeno 250 cinesi erano ancora incarcerati per aver partecipato alla rivolta di Tienanmen, nonostante le proteste dei gruppi americani per la difesa dei diritti umani, mentre migliaia di studenti come il giovanissimo Zhang Zhiqing non erano mai stati trovati, Zhang Boli aveva cominciato a studiare per diventare un missionario. Dopo aver predicato i Vangeli a Los Angeles, un sogno l’aveva spinto a trasferirsi in questa piccola comunità cinese alle spalle di Washington. Dove, suonando il piano elettrico e predicando la Buona Novella, ogni domenica esorta i cinesi a seguire i precetti cristiani. «Avevo sognato un campo. Su un lato c’erano moltitudini di contadini, ma l’altro era spoglio e deserto. Capii che Dio voleva che andassi a predicare in una zona dove non c’erano chiese cinesi».
Di fatto il fenomeno del cristianesimo cinese avrà implicazioni mondiali e Zhang Boli lo sa. Dalle piccole comunità cinesi stanno già partendo missionari diretti verso Gerusalemme, lungo la vecchia via della seta; che passa attraverso il mondo dei musulmani e dei buddisti.
Risposato e con due figli (dopo anni difficili anche «Piccola Neve» è venuta a vivere con lui negli Usa) Boli spera che la Cina continui a crescere bagnandosi di fede. «Il rischio adesso è che i comunisti, davanti al nuovo benessere, vogliano idolatrare solo i soldi. C’è una tale sproporzione tra i nuovi ricchi e la povertà delle zone rurali, che ho paura che ci sarà un’altra rivolta. E stavolta non sarà organizzata e isolata come Tienanmen, ma scoppierà in molte cittadine».
Mao continuerà ad essere un eroe per le prossime generazioni cinesi? «Così come è successo con Stalin e i russi, anche la Cina, aprendosi, smetterà di idolatrarlo. L’idolatria non ha nulla a che vedere con la stima. Mao non è più una religione. Piano piano verrà sostituito dai soldi, dalle nuove star del cinema e della musica».
La sua autobiografia è venduta anche in Cina? «Sì, ma solo al mercato nero e costa quanto un mese di salario».
Vi sono stati altri, tra i 21 di Tienanmen, che si sono convertiti? «Sì, non sono il solo.

Ad esempio c’è Xiong Yan, che è diventato un pastore dell’esercito americano. Dio l’ha voluto mandare in Irak, come cappellano. Avrà avuto le sue ragioni e poi lasciatemelo dire, la vita, noi uomini, mentre la viviamo non sempre la capiamo».

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