L’estate da rimandato: loro a pomiciare io a studiare

Nel ’74 gli esami a settembre in chimica: «I miei amici passavano le serate alle feste dell’Unità in piazza, io a fare i sali»

Alla fine mi ha beccato. Era l’estate del ’74. Io da studente appartenevo alla categoria dei pelandroni, quelli che non fanno nulla per tutto l’anno e, poi, gli ultimi tre giorni di scuola ci danno dentro. Una bella botta, per recuperare i mesi perduti. La parlantina da cialtrone funzionava sempre. Però quella volta, ecco, la prof di chimica, una fetente con gli occhialetti di cui non ricordo più il nome, ma era terribile come la peste, mi ha fregato. Perché lei lo sapeva, com’ero abituato.
Ora, io frequentavo l’Istituto tecnico, non è che chimica fosse fondamentale. Quell’anno c’erano i sali: orribili. Come al solito, erano gli ultimi giorni, c’era caldo (allora, a maggio e a giugno, c’era ancora il caldo, e le stagioni erano ancora stagioni), io studiavo quegli orribili sali mentre aspettavo la visita dal dentista, tutto come da copione. Il giorno dopo c’era l’ultima interrogazione, quella di recupero, per rimediare ala mia insufficienza. Ma quel giorno, la fetentona, dopo aver interrogato per ore, a un certo punto ha chiuso il registro: era stufa, ha detto. E alla «V» non è mai arrivata. Alunno Vergassola, fregato. Rimandato in chimica.
E allora giù a studiare, ma da soli l’impresa sarebbe stata impossibile: allora io e Loreno, mio compagno fin dall’infanzia, siamo andati a lezione da un amico, perito chimico. Si chiamava Pinzani: era solo tre anni più vecchio di noi, ma sembrava mio nonno. Comunque Pinzani ci ha salvato, perché non potevamo permetterci i soldi per andare a ripetizione da un professore.
L’esame a settembre ci aspettava, era lì. Non si poteva proprio far finta di nulla: ha contaminato tutte le vacanze. Nell’estate del ’74 tutti facevano i rivoluzionari, ascoltavano gli Inti Illimani, passavano le serate alle feste dell’Unità, e a me toccavano i sali. Non per quelle due ore trascorse a studiare, non era quello. È che, sotto sotto, c’era sempre quel pensiero che ti ammorbava. L’esame. E come fai ad andare in campeggio col libro di chimica? Il sacco a pelo si ribella, la tenda si sgonfia immediatamente al solo pensiero. Tutti fanno i furbi, a parole, ma davanti agli esami non ce n’è uno che non si agiti. Io sono pure ipocondriaco, ho l’ansia di natura. Insomma la strizza c’era. Quel libro l’ho aperto e riaperto.
Alla fine, adesso, so fare i sali. Perché nell’estate del ’74, mentre ci godevamo il tramonto sdraiati in spiaggia alla Palmaria, mentre tutti pomiciavano e giocavano alla bottiglia (per pomiciare), io chiedevo agli altri: voi li sapete i sali? Io ora li so. Merito di quell’esame a settembre.
Se il ritorno degli esami di riparazione, oggi, sia un bene, non saprei. Personalmente mi chiedo ancora a che cosa servisse la chimica nella vita: cioè, io oggi so i sali, ma che cosa me ne faccio? Il problema della scuola è sempre lo stesso. Per tutte le superiori ho letto un libro solo se ero proprio obbligato. Mi è bastato finire la scuola per iniziare ad amare la letteratura.
Allora ben vengano i prof che insegnano con gusto, con piacere. A parte chimica, ovviamente, che può servire solo per chi vuole aprire una farmacia, o per chi vende droga... La matematica, per esempio, non mi serve a nulla per il mio lavoro, ma ha una sua bellezza, una sua forma poetica. E poi mi ha insegnato l’equazione fondamentale della mia vita: io sto alle donne come un diabetico alla meringata. Ma la chimica... non saprei proprio che farmene.
Oggi, grazie alle lezioni di Pinzani, quell’incubo l’ho superato. Ormai sono uscito per sempre dal tunnel dei sali: adoro i dolci. Per il resto, forse, tornare agli esami di riparazione non sarebbe poi così male: almeno sei obbligato a studiare qualcosa.

Però a due condizioni: che non si debbano tirar fuori le palanche per le ripetizioni, e che le lezioni siano organizzate dalla scuola. Così i prof ci penseranno due volte a rimandare gli alunni, prima di ritrovarseli pure d’estate...

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