L’evoluzione di Martin Parr: dal bianco e nero ai colori pop

Allo spazio Forma, da oggi, le opere dell’artista inglese

Barbara Silbe

Si muove lento, pacato, come un bradipo. E sorride, Martin Parr. Come per ironizzare su se stesso e su chi lo osserva. Ironia dissacrante, alla maniera di Elliott Erwitt, lente ottica attraverso la quale fa passare tutto. «Sono un inglese - esordisce - e gli inglesi sanno fare bene due cose: humour e tè. Per il primo non c’è problema, ma per una buona tazza di tè la faccenda è più complicata». Durante l’intervista alla quale si concede bonario, all’inaugurazione della sua antologica ospitata allo Spazio Forma, dispensa risate e semplicità. Ti riceve in una speciale stanza rossa, una delle due installazioni che fanno parte dell’esposizione, ricostruzioni fedeli di un tipico salottino d’epoca in perfetto british style. E se lo si accusa di voyeurismo confessa: «Tutti i fotografi lo sono, soltanto che io non mi offendo se vengo definito così. Osservo la società, la vita di tutti i giorni, quella delle persone comuni, l’ho fatto per tutti e 35 i miei anni di carriera, ma non giudico. Semmai seleziono cosa inquadrare e cosa no. E spesso i soggetti si scelgono da soli, semplicemente catturando il mio sguardo per un gesto, per la loro faccia interessante, per qualche strano comportamento o abito o mania. Le valutazioni le lascio agli spettatori».
Scatti un po’ pop, quelli di oggi, molto diversi dai lavori in bianco e nero degli esordi negli anni Settanta? «Sì, sono passato dal bianco e nero al colore, da uno stile a un altro completamente diverso, con naturalezza. Tutto cambia, no? Basta pensare alle potenzialità del digitale. È una buona cosa quando c’è un’evoluzione. Perché non avrei dovuto cambiare io?». Martin Parr mantiene sempre il suo impassibile modo, anche quando appassiona parlando del suo mestiere e afferma: «La fotografia è come la vita. Né buona né cattiva. È, e basta. Se ci pensa, è un’arte piuttosto democratica. Tutti la possono praticare, con la tecnologia delle fotocamere di oggi. Non serve chissà quale conoscenza tecnica. La ricetta per le mie inquadrature si compone di un pizzico di curiosità, di senso della documentazione e di qualche elemento di sorpresa messo qui e là». E con la provocazione come la mettiamo? «Nella serie di scatti dal titolo Common Sense, realizzati nel 1999, ce n’è parecchia. Ho fatto incursioni nella sfera dell’ordinario, del cattivo gusto anche, alla ricerca di quel senso che accomuna gli esseri umani». È uno dei suo lavori più conosciuti. Si tratta di inquadrature molto ravvicinate, quasi macro, che fermano particolari paradossali. Ti fanno sentire a disagio, disgustano perfino, come una bocca che succhia un lecca lecca appiccicoso, rossetto sbavato o unghie troppo lunghe, bambole gonfiabili e hamburger mangiucchiati, scollature, velette, tazzine e pasticcini. Come dire: il consumismo diventa spettacolo.

Che orrore!
Martin Parr. Retrospettiva, a cura di Van Williams, da oggi al 19 novembre da Forma, Centro Internazionale di Fotografia, piazza Tito Lucrezio Caro 1. Catalogo Contrasto. Info: tel. 02.58118067; www.formafoto.it.

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