Nel colloquio, frettoloso perché il generale inglese doveva tornare a Londra, Montgomery disse a bruciapelo che lesercito italiano era «un esercito di facciata». «Lei non parte più», gli replicò linterlocutore con fermezza. «Come sarebbe?», si meravigliò laltro. «Ora ha il dovere di visitare un reparto dellesercito italiano. Vedremo se la sua accusa regge», gli ingiunse il Nostro che non era tipo da scherzare. Rassegnato, linglese scelse di andare alla Scuola di Artiglieria di Bracciano, vicino a Roma, dove si trovavano. Qui ispezionò puntigliosamente la truppa, controllandone la marzialità. «Sarebbe stato così caporalesco anche con lesercito francese?», gli sussurrò fremente litaliano. Indovinava che i pregiudizi di Montgomery nascevano dalle nostre cattive figure nella guerra 39-45, finita da appena tre anni. Linglese finse di non sentire e chiese di assistere a una prova di tiro. Salirono su una collina. Il generale individuò col binocolo tre alberi e disse allartigliere: «Li abbatta, se ci riesce». Tre colpi e gli alberi sparirono. Linglese cambiò faccia e nel viaggio di ritorno continuò a ripetere stupito: «The tree, out». Poi, da Londra, scrisse al Capo di Stato Maggiore italiano che doveva ringraziare Dio di essere alle dipendenze di un politico patriottico come era il Nostro.
Fu davvero un patriota in stile ottocentesco. Una specie di Garibaldi nel secolo sbagliato che, con la sua vita lunghissima, attraversò tutto. Il secolo delle due grandi dittature, che combatté entrambe, e degli intrighi della prima Repubblica, dei quali fu vittima.
Passò linfanzia a Giuncarico dove era nato, spesso ammalato di malaria che ancora infestava la Maremma. Il padre era un deviatore ferroviario, infimo tra i ferrovieri, e la loro casa la stazione. A 16 anni fuggì per arruolarsi volontario nella Grande guerra, ma il babbo lo riacciuffò. Lanno dopo, regolarmente richiamato, andò al fronte. In 14 mesi conquistò, in altrettante azioni, due medaglie dargento, una di bronzo, la «Military Cross» inglese e la francese «Croix de guerre avec palmes».
Cessata la guerra, si laureò e fece i primi passi da avvocato. Giunto il fascismo, si mise subito contro. Riunì gli antifascisti ex combattenti nel movimento «Italia libera». Erano con lui Raffaele Rossetti, laffondatore della «Viribus Unitis», Gigino Battisti, figlio di Cesare, Falcone Lucifero, futuro ministro della Real Casa. Durante unadunata a Piazza Venezia, mentre il duce parlava dal balcone, gridarono: «Viva lItalia libera». Lindomani, i giornali di opposizione (era il 1923 e ce nera ancora qualcuno) titolarono: «Mussolini interrotto da un gruppo di decorati» e il duce replicò sul Popolo dItalia: «Non erano gruppi di combattenti. Era solo un insulso avvocatino di Grosseto». Cioè lui. Lavvocatino si mise ancora di traverso accusando Italo Balbo, capo della Milizia, di avere ordito lassassinio di Don Minzoni. Fu processato, ma vinse esibendo la confessione scritta di un partecipante al complotto. Il duce fu costretto a togliere a Balbo il comando della Milizia. Due anni dopo, alla vigilia dellarresto, il Nostro fuggì a Lugano.
In esilio rimase quattro lustri. Dalla Svizzera, passò in Alsazia. Partecipò alla guerra civile in Spagna contro Franco. Guidò la Brigata Garibaldi che militarizzò alla perfezione e che fu determinante per la vittoria di Guadalajara. Ruppe con gli alleati comunisti, rifiutando di farsi complice dellignobile voltafaccia che portò al massacro degli anarchici che stavano dalla stessa parte ma erano scomodi. Tra una battaglia e laltra, strinse amicizia con Hemingway che girò un film, Tierra de España, ispirandosi alla sua brigata e che nel romanzo Di là dal fiume e tra gli alberi parla spesso di lui. Per un soffio non finì tra le lenzuola con la bella Martha Gellhorn, futura terza moglie dello scrittore.
Tornò in Francia alla vigilia della seconda guerra mondiale per fuggirne appena i tedeschi occuparono Parigi. Si rifugiò a Casablanca piombando nel clima torbido che ispirò lomonimo film di Michael Curtiz. Il regista, non a caso, volle poi il Nostro come consulente. DallAfrica passò negli Usa ricongiungendosi con Don Sturzo, Tarchiani, Salvemini, Borgese. Cercò di organizzare una Legione italiana per combattere in Europa, ma gli yankee glielo impedirono.
Con laureola del suo passato avventuroso, tornò nellItalia libera e entrò in politica. Avrebbe potuto raccogliere i frutti del suo rigoroso antifascismo, ma si trovò contro i comunisti. Li ebbe addosso quando si batté per lingresso dellItalia nella Nato. In aula, il deputato pci Ilio Barontini gridò additandolo: «Questo qui lo dovevamo ammazzare in Spagna. Non lho fatto e me ne pento». Anni dopo il giudice, poi deputato comunista, Luciano Violante lo accusò falsamente di essere un golpista e gli fece ritirare il passaporto.
Morì solo, ma indimenticabile.
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