L’ex poliziotta poco Clementina con i politici

da Milano

In strada, difese un extracomunitario reo di non aver pagato il biglietto del tram e che un agente di polizia «stava trattando brutalmente». «Lo rifarei una, cento, mille volte - spiegò - perché disprezzo la violenza in tutte le sue forme, soprattutto quando compiuta da forze dell’ordine». In aula, decise l’assoluzione per tre integralisti islamici dall’accusa di terrorismo internazionale - pur ritenendo dimostrato che reclutavano mujaheddin per la guerra in Irak - perché un conto è il terrorismo e altra cosa è la guerriglia. Sentenza confermata in Appello ma ribaltata in Cassazione. Non bastasse, querelò i ministri Roberto Calderoli e Maurizio Gasparri, colpevoli di aver commentato con eccessivo trasporto le sue motivazioni, perché certi attacchi «non sono consoni ai principi di uno stato di diritto e in particolare al principio di uguaglianza di tutti di fronte alla legge». In quelle ore diventò il bastione del garantismo di sinistra. Poi, a distanza di due anni, la «pugnalata» alla Quercia invischiata nell’affaire Unipol. Clementina Forleo, 44 anni da Francavilla Fontana in Puglia, giudice senza mezze misure e dall’ordinanza tagliente.
Clementina la «terribile», secondo cui le telefonate dei politici sono pubbliche perché «il consistente rafforzamento della tutela apprestata alla posizione di parlamentare non può infatti espandersi al di là delle prerogative espressamente previste da tale norma», e alla faccia dei privilegi della «casta». Ed è la stessa Forleo che blinda il settimo piano del palazzo di giustizia perché quelle intercettazioni non finiscano in pasto ai giornali creando imbarazzo in Parlamento, salvo poi usare la scure nell’ultimo provvedimento con cui le trasmette a Roma. I politici? «Complici nei reati».
Sempre sugli scudi, il giudice. Da studentessa modello, a poliziotta con encomio, fino alla ribalta della magistratura. Entra in scena nella seconda fase di Mani Pulite. Nelle sue mani passano inchieste per tangenti e per terrorismo interno (anno 1997, per la strage di piazza Fontana) e internazionale (l’assoluzione degli islamici, in seguito alla quale dirà di aver «agito secondo la legge e secondo coscienza»). Rinvia a giudizio Marcello Dell’Utri e scrive che D’Alema era «complice» degli affari sporchi di Unipol. Infine, la maxi-inchiesta sulle scalate all’italiana. Tradotto, un paio d’anni sulle prima pagine dei giornali. Celebrità e carattere «abrasivo». Un pregio, alla lunga. Perché di colleghi che l’abbiano mai influenzata se ne contano sulle dita di una mano. Al limite, qualche consiglio. E proprio questo - dicono - è la sua forza.
E da quale parte stia il giudice, se a destra o sinistra, è inutile chiederlo: «Non è di nessun partito o schieramento - ripete chi la conosce -. È una persona libera, una che crede nella legge.

Ha cominciato come poliziotto, poi, nel 1991 è diventata giudice». Qualcuno ventila la sua vicinanza ad An. Se lo chiedi a lei, la risposta è ancora più secca: «Sono un magistrato senza padroni e senza guinzaglio». Da ieri, con qualche detrattore in più.

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