«Lha massacrata di botte qui, sul marciapiede, sotto lo sguardo della gente. E nessuno ha mosso un dito». Un quartiere sconvolto. In viale Abruzzi la portinaia dello stabile davanti al quale ieri mattina il 25enne ucraino Oleg Fedchenko ha massacrato a calci e pugni fino a ucciderla Emilu Arvesu, una domestica filippina di 40 anni, si tampona gli occhi e racconta tra le lacrime la tragica scena. I testimoni del feroce pestaggio raccontano che lui, pugile e alto un metro e ottanta, faceva paura ma nessuno ha mosso un dito.
Il violento ucraino si allenava alla «Doria» di Milano, storica palestra dove è cresciuto anche lex campione del mondo dei massimi-leggeri Giacobbe Fragomeni e che in passato è stata al centro di numerose polemiche essendo il centro sportivo preferito dagli estremisti e più recentemente dai naziskin. «Quello - dice parlando di Fedchenko il campione Fragomeni - non credo fosse un professionista ma uno squilibrato. Un professionista non si sognerebbe mai di alzare le mani».
È «un caso di ginecofobia» spiega Caludio Mencacci, primario psichiatra allospedale Fatebenefratelli di Milano dove la vittima è stata trasportata dopo laggressione e dove è morta nel reparto di rianimazione, nonostante i soccorsi. Si è trattato secondo lesperto di un impulso incontrollabile di rabbia e violenza, che avrebbe potuto scatenarsi contro chiunque, purché donna. Un raptus che ha poco a che vedere con una sindrome depressiva.
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