L’insolito rumore di un corteo silenzioso

L’insolito rumore di un corteo silenzioso

Domenica scorsa, il commento di Michele Serra sulla prima pagina di Repubblica, in lode della manifestazione svoltasi a Milano per difendere la legge 194 che ha introdotto in Italia l’aborto di Stato, cominciava così: «Quando un corteo è quasi silenzioso...». Essendo la manifestazione organizzata dal movimento Usciamo dal silenzio, non si può negare che Serra sappia fare un uso accorto degli avverbi. Andiamo avanti: «Quando un corteo è quasi silenzioso, scandito solo a tratti da pochi slogan, e produce il rumore insolito di una conversazione lunga cinque o sei chilometri, vuol dire che è un corteo di persone».
Ma tu guarda. Nonostante i pregiudizi borghesi del dizionario Zingarelli (corteo, sostantivo maschile: gruppo di persone che sfilano incolonnate nel corso di una dimostrazione pubblica), è risaputo che per le vie di Milano si snoda di tanto in tanto qualche corteo di pinguini, come sulla banchisa polare, del resto. E i paracarri? L’avete mai visto un corteo di paracarri dalla stazione Centrale a piazza Duomo? Ah, è magnifico. In fila uno dietro l’altro, composti, soprattutto silenziosi senza il «quasi». O forse l’editorialista di Repubblica voleva distinguere dagli altri cortei, quelli di cattolici, di militanti del centrodestra, di volontari del Movimento per la vita? Non cortei di persone, nella sua percezione. Al massimo di ominidi. Seguiva quest’altra fondamentale notazione antropologica: «La testa di Dario Fo che spunta duecento metri più indietro è la sola icona riconoscibile a colpo d’occhio». La testa di Dario Fo! Chiamala icona.
Ma subito dopo Serra tornava a insistere sul concetto del «corteo di persone»: «Parecchi uomini, diciamo circa un terzo dei presenti», e poi «impiegate, casalinghe, studentesse, madri di famiglia, qualche sciura milanese appena più in tiro». Per concludere orgoglioso: «Gente, insomma». Un’ulteriore conferma che il corteo non allineava lampioni e cabine telefoniche. Ne siamo tutti più sollevati.
Vale la pena di soffermarsi su questo corteo di persone, quasi silenzioso, che a giudizio di Serra ha prodotto il rumore insolito di una conversazione (fra sordi, con tutta evidenza: non si spiegherebbero altrimenti i megafoni avvolti nei fazzoletti rossi). Ecco, per esempio, alcune testimonianze mute raccolte dalla Stampa: «“L’aborto non si tocca, fuori il Vaticano dalla gnocca”, urlano le ragazze del collettivo Priscilla di Verona. E quelle del gruppo Matrix distribuiscono mutande rosa con scritto: “Uso in proprio”». Le avranno marchiate così per non doverle prestare alle amiche che dimenticano sempre gli slip da qualche parte? Altri slogan captati dalla Stampa e dal corrispondente di Liberazione: «Ruini, Ruini pensa ai tuoi casini»; «Ruini sta nei tuoi confini»; «Meno Ruini, più bambini» (è noto come sua eminenza sia un nemico spietato della natalità); «Benedetto il giorno che te ne starai zitto» (un elevato doppiosenso riferito al Papa); «Basta col governo del clero, vogliamo Zapatero»; «Storace, babbeo, beccati ’sto corteo»; «Gridate tutte quante, fuori la Chiesa dalle mutande», rima imperfetta che palesa un preoccupante affollamento dentro la lingerie di certa gente. Degne di nota anche le fotocopie con la scritta «Vuoto a perdere» che molte signore s’erano appiccicate sulla pancia, foderata da cuscini a simulare una gravidanza. «È questo, se possibile, il nerbo psicologico della grande manifestazione», per usare un’espressione di Serra? È questo che «rende molto più bassi i toni»?
La Stampa, a differenza della Repubblica, ha fornito qualche informazione accessoria: «Ragazzi travestiti da corvi e lupi: a riempirsi di slogan, canti e striscioni in difesa dell’aborto». E ha pubblicato la foto di una tizia arcimboldesca, la faccia dipinta da capo sioux, con una tiara inghirlandata da strisce di carta rosso-bianco-verde-giallo-rosa. Ciò che testimoniava, sempre per dirla con Serra, «un prevalente anonimato, una evidente normalità».
Fra gli slogan più gettonati del corteo quasi silenzioso s’è udito infine questo: «Attenti, le donne votano con la pancia». Attenti anche agli editorialisti che scrivono con qualcos’altro: il rumore insolito è sempre in agguato.
COLPO DI TESTATA. Corriere della Sera, giovedì 12 gennaio, prima pagina, pezzullo non firmato dal titolo «Fallo da ultimo uomo»: «Il capitano di Forza Italia a Montecitorio, Elio Vito, ieri ha commesso quello che nello slang calcistico è “un fallo da ultimo uomo”. E subito dopo, come un mediocre stopper della domenica, ha confessato ai suoi colleghi di coalizione: “Non posso fare altro”. Così per evitare che An assieme a Lega, Udc, Margherita, Udeur, Ds, Verdi e Prc riuscisse ad approvare una nuova legge per la vendita collettiva dei diritti del calcio, ha posto il veto. Vito non poteva fare altro perché Silvio Berlusconi ha vinto cinque anni di governo e ha intenzione di usarli fino all’ultimo giorno per le sue aziende. Si chiamino Mediaset, Mediolanum o Milan. Quando si farà la storia di questi anni gli studiosi parleranno di conflitto di interesse coordinato e continuativo. Un lustro durante il quale i falli da ultimo uomo non venivano puniti». Corriere della Sera, stesso giorno, pagina 20, articolo (anzi paginata) a firma di Giorgio Tosatti dal titolo «I diritti del pallone, realtà e illusioni»: «Solo in Italia e Grecia la materia è regolamentata da una legge, in entrambi i Paesi si vuole abolirla. Giusto. Ma sarebbe assurdo sostituirla con una legge che imponga la vendita collettiva dei diritti.

Perché la Costituzione garantisce la proprietà».
Io di calcio non capisco un’acca, ma al Corriere non potrebbero mettersi d’accordo fra chi scrive a pagina 1 e chi scrive a pagina 20?
stefano.lorenzetto@ilgiornale.it

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