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L’intervento La stagione del ’92 non va rimpianta

LA VICENDA La trattativa avvenne nei primi anni ’90. L’imprenditore fu arrestato dopo la compravendita

Quanto accade sulla scena politica e mediatica non dovrebbe mai sorprendere. E però, i paradossi oggi sono tali da provocare meraviglia. Dal momento dell’insediamento, il governo, col sostegno del Parlamento, ha promosso e fatto approvare un complesso di norme antimafia senza precedenti nella storia repubblicana: da quelle che permettono di aggredire in modo più incisivo i patrimoni, impedendo all’erede del boss o al pentito di godere di beni illecitamente acquisiti, alla effettiva restrizione del 41 bis, il regime del carcere duro; dal potere del prefetto di accesso sui cantieri per prevenire infiltrazioni a una più puntuale disciplina dello scioglimento per mafia degli enti territoriali; dall'accelerazione della destinazione a usi sociali dei beni confiscati all’obbligo di denuncia del racket fissato per gli imprenditori che si aggiudicano appalti pubblici...
L’introduzione di questi nuovi strumenti operativi è affiancata da un’azione di governo che ha permesso in un anno e mezzo di aumentare del 26% il numero degli arrestati per mafia, del 91% il numero dei latitanti mafiosi catturati, del 52% il valore dei beni sequestrati alle organizzazioni criminali (per una stima di 5.372 milioni di euro) e del 304% quello dei beni confiscati (1.521 milioni di euro); una parte di tali beni, quelli immediatamente monetizzabili, pari a 676 milioni di euro, sono andati al Fondo unico giustizia. Al di là dei numeri, la risposta militare al radicamento mafioso e camorristico in zone come il Casertano (ma non è il solo esempio) ha incontrato l'apprezzamento delle categorie produttive e delle popolazioni, con ritorni in termini di fiducia e collaborazione. Dove sta il paradosso? Sta nel fatto che non si parla di tutto questo, e magari di ciò che, si può fare di più e meglio in altre aree interessate dalla criminalità mafiosa, Calabria in primis. Si parla del «papello», cioè di una pseudo trattativa la cui fonte è al momento una fotocopia consegnata da un soggetto che non è neanche un collaboratore di giustizia; una trattativa che pare essersi fermata a un momento antecedente la semplice proposta; e che riguardava istanze che, dall’abolizione del 41 bis fino alla revisione del processo alla Cupola, non hanno trovato alcun tipo di seguito. Invece che di fatti si parla di fantasie. Invece che indagare sulla mafia di oggi c’è chi impiega uomini, mezzi ed energie per scandagliare ciò che non si sa se c'è stato vent'anni fa. Invece che parlare dei processi in atto se ne promuovono altri a mezzo stampa, lasciando arrivare alle redazioni dei giornali documenti improbabili, non vagliati quanto a provenienza e a contenuto. Perfino il Secolo d'Italia lancia l’appello a recuperare lo «spirito del 1992» nella lotta alla mafia! Aggiungendo al danno la beffa: nel 1992 le norme antimafia furono varate dopo le stragi e interessarono il processo penale.

Le disposizioni introdotte oggi, e l’azione di governo che le accompagna, non hanno avuto bisogno di sollecitazioni terribili come quelle, ed entrano nel vivo degli interessi criminali, colpendo le collusioni tra mafia ed economia, e tra mafia ed enti locali. Rivelano cioè un’antimafia dei fatti, cui in troppi si continua a voler contrapporre l’antimafia delle chiacchiere.
*Sottosegretario all’Interno

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