L’INTERVISTA MORIERO

«Il mio calcio è un mix di lavoro e allegria. I ragazzi si divertono, ma sgobbano anche e in campo fanno quello che dico. E così arrivano i risultati». Pensieri e parole di Francesco «Checco» Moriero, l’ex interista dell’epoca Ronaldo, ora allenatore del Frosinone, inaspettatamente al comando della serie B.
Che aria si respira là in alto, davanti a tanti squadroni?
«Non mi lamento davvero se guardo chi ho alle spalle. Ma sono abituato a guardare gli altri dall’alto: nel 2007, all’esordio come allenatore, sulla panchina dello Sports National di Abidjan, serie A in Costa d’Avorio, ho vinto lo scudetto, dopo che Stielike mi aveva soffiato la possibilità di allenare il Venezuela solo perché lui parlava francese e io no. L’anno dopo il flop a Lanciano e poi la C1 col Crotone promosso in B. Ora c’è il Frosinone con tanti giovani di talento che hanno fame di vittorie».
Per esempio?
«Del Prete, Basha, Troianello, il brasiliano Caetano Calil che era con me a Crotone, Basso, Bolzoni, Gucher e l’esperto portiere Sicignano, ma sono ancora tanti quelli che dovrei citare. La nostra forza è il lavoro e il gruppo, tutti si aiutano l’un l’altro e abbiamo ancora ampi margini di miglioramento».
Il suo cammino da calciatore dopo la natia Lecce è stato abbastanza altalenante: Roma, Inter con le scarpe lustrate a Ronaldo e Recoba, e la malinconia di Napoli.
«Io intendevo il calcio come divertimento, non come un lavoro ossessivo. Quando ho smesso nel 2002 per un anno non ho guardato nemmeno le partite in tv».
In molti si chiedono come un artista del pallone possa predisporre alchimie tattiche nel Frosinone.
«Faccio un gran lavoro psicologico, curo l’organizzazione di gioco e coniugo equilibrio tattico e fantasia. Giochiamo con un 4-2-3-1 che ci fa divertire, anche perché siamo una squadra spregiudicata: ci capita di attaccare anche in sei. Ma questo è perché i ragazzi hanno metabolizzato il carattere dell’allenatore: la voglia di divertirsi e far divertire».
A chi si ispira come allenatore?
«Mi fa rabbia che uno come Spalletti non abbia una panchina. Il 4-2-3-1 del Frosinone nasce dalle sue lezioni sui banchi di Coverciano. Ma ci metto anche Carletto Mazzone, il mio secondo padre, quello che mi ha inculcato valori etici e rispetto delle regole e Gigi Simoni che sul calcio la pensa esattamente come la penso io».
Meglio giocare o allenare?
«Sono due mondi completamente diversi, però trovo più gusto a fare il mister. Prima lavoravo solo coi piedi, ora invece devo usare la testa. Il mio calcio è intenso, veloce, le scelte prediligono chi scommette su se stesso come uomo. Non ho fenomeni, però pretendo sempre qualità, rabbia e testa».
È un miracolo questo del Frosinone in vetta?
«Il vero miracolo l’ho fatto con la promozione del Crotone: il presidente Vrenna inquisito, il cambio di proprietà, i tagli degli stipendi e della rosa. Anche allora fu Emilia a dirmi “non mollare mai”. Rimasi e vinsi il campionato. Ora non penso alla A. Il presidente Stirpe non mi ha chiamato per vincere, ma per divertirsi.

Nessuna ossessione o paturnia mentale, adesso ridiamo perché le cose vanno bene, ma siamo anche preparati per i momenti bui».
Allora Moriero ha davvero messo la testa a posto?
«Sono sempre rimasto me stesso e anche qui in Ciociaria riesco a divertirmi. È questo quello che conta per me».

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